Saturday, August 26, 2006


Questa volta voglio mostrarvi un delirio: il racconto che vi presento, è il frutto di una "visione" (che poi per esigenza narrativa ho modificato) avuta una calda notte di estate mentre ero in vacanza dalle mie parti in Puglia.
Buona lettura...

La Processione

Il nano agitando il bastone apriva la processione. Vestito di uno stinto frac nero sopra una camicia ingiallita e aperta sul petto; zoppicando arrancava al suono degli strumenti, mentre la coda dell’abito garriva sulle tozze e storte gambe.
Un nero cilindro sul capo troppo grosso per un corpo così corto; e sulla faccia dipinta di bianco, una maschera di teschio volgarmente abbozzata con un cerone, un sorriso di piena soddisfazione a dire al mondo: “Guardatemi! Conduco e comando io!”
E dietro la più variopinta serie di figure che quel suolo avesse mai visto: la banda era stata raccattata all’ultimo momento correndo tra le vie del villaggio a monte.
Si diceva fosse davvero un uccello quello che per primo apriva il corteo dei musicanti, portava un grosso serpente del colore dell’ottone, le fauci spalancate e asciutte di veleno; l’intero corpo era attorcigliato a mo’ di trombone e cingeva la vita del pennuto che lo suonava dalla possente coda bucata.
Le piume blu delle ali coprivano i fori lungo il corpo del rettile modulandone il suono che usciva dalla bocca; anche l’uccello come il nano indossava un frac del colore del cielo più vicino alla luna.
Subito dietro, due suonatori di violino di cristallo, che con maestria dirigevano gli archi sulle corde di legno giovane, entrambi con lo stesso sorriso, entrambi con la stessa faccia: due gemelli siamesi uniti per la schiena, camminavano a turno l’uno davanti all’altro girando su se stessi e sollevando sbuffi di polvere amaranto della strada di campagna.
Poi trombettisti di colore con trombe di terracotta o ad acqua di mare; donne che suonavano piatti di porcellana, si frantumavano sbattendoli l’uno contro l’altro…
Ai lati della strada a coppie poste sulla destra e sulla sinistra, bambini vestiti di calzoni cachi e magliette a righe rosse e grigie conducevano su mazzi di scopa, scheletri umani dentro di cui la gabbia toracica erano state poste delle lanterne ad olio.
Un mandarino vestito di viole tenute insieme da scintillanti crini di cavallo, levitava a mezz’aria con le gambe incrociate, la faccia che trasudava serenità perpetua e nell’incavo delle cosce, un tamburo esagonale di giada luccicante dove due topini bianchi saltellavano sulle zampette producendo un suono delicato.
Erano in quattro che trasportavano la bara in mogano senza coperchio: dentro il cadavere.
Sul petto composto e ben vestito, una grossa carta da gioco con il quattro di bastoni; il suo volto, quello di un vecchio sdentato dai favoriti folti e bianchi, riposava con un sorriso di sazietà di chi aveva provato tutto nella vita e non aveva rimpianti di nessun tipo.
Entrambe le mani reggevano, tra le vecchie dita rigide, i bordi della carta da gioco.
Coloro che lo trasportavano, oscillavano a destra e a sinistra e sembrava quasi che nel loro moto la bara dovesse cascare da un momento all’altro, ma le dita dei quattro portantini tenevano ben salda la stretta sui manici d’ottone del catafalco: due passi avanti ed un indietro procedevano così, lentamente, a piedi scalzi; una tunica bianca dalle maniche lunghe, di velluto nero poi la mantellina che tenevano sulle spalle, mentre sempre bianco era il cappuccio a punta, solo due fori per gli occhi, ed una corona di spine in cima.
Quattro lugubri fantasmi che arrancavano al suono lento e cupo della musica, le mani, coperte da guanti bianchi, avevano al polso un piccolo rosario di legno, e le dita che non stringevano i manici, portavano un lungo bastone nero che terminava con un gancio metallico dorato, dove poter appoggiare la bara durante le soste.
E dietro il catafalco traballante, la vecchia baronessa sulla sedia a rotelle che si muoveva guidata dalla musica, coi suoi capelli grigio-viola raccolti sulla nuca, la pelle ormai flaccida come un vecchio otre consunto ricopriva –tremolante- il volto truccato; un rossetto amaranto e lucente le ricopriva le labbra così sottili e screpolate impiegate a masticarsi le gengive che le prudevano per la dentiera nuova che aveva indossato per l’occasione.
Dall’alto dei suoi novantasette anni, guardava tutti i partecipanti e i suoi verdi occhi acquosi e cisposi avevano un’espressione seria, o quanto meno cercavano di reggerla, anche se dentro sembrava che si agitasse una festa da ballo tanto era contenta e divertita: “Uhm!” pensava “Anche questa volta non è stato il mio turno. Me la sono scampata!” mentre la carrozzella continuava con un ronzio che sembrava quello di un motore che stesse per esalare l’ultimo respiro.
Ad accompagnare la baronessa il sacerdote.
Sessantenne dai capelli bianchi che parevano cotonati. Il curato – che raramente si era curato delle anime del villaggio-, veniva avanti con le mani giunte all’altezza del petto: indossava una lunga tonaca viola a disegni sacri e ricami in filigrana d’oro; il messale, un portentoso tomo di velluto rosso, gli penzolava dal fianco destro oscillando avanti e indietro ad ogni passo, attaccato ad una catenella anch’essa d’oro. Subito alle sue spalle un uomo corpulento e completamente calvo dagli occhi sporgenti simili a quelli di un pesce; un naso grosso e le labbra screpolate semi aperte e tumefatte: lo scemo del villaggio!
Tra le mani vigorose portava bene in vista un enorme crocefisso d’ebano, anche lui, come il nano, era fiero della sua posizione e del suo ruolo; esibiva il simbolo sacro come un feticcio, dove era stato messo un enorme pitone che si contorceva viscido e lucido.
Ogni tanto una delle tante donne vestite di nero con pesanti veli ricamati che le ricopriva la testa si facevano avanti e buttavano del rum sulla croce da piccole bottigliette di vetro che si portavano dentro minute borsette…queste pie che urlavano battendosi il petto e altra gente comune che per noia, curiosità o affetto avevano voluto partecipare alla processione, chiudevano il corteo.
E tutti dopo una buona mezzora giunsero ai piedi di un colle, sulla sua sommità si distinguevano le sagome scure di lapidi e cappelle. In maniera regolare cipressi si trovavano lungo il fianco, costeggiando una serie di scalini in pietra.
La sera era la più scura che la gente del villaggio ricordasse, non una stella, non la faccia bianca della luna ad accompagnare il corteo nel suo lugubre viaggio. Solo le lanterne dentro gli scheletri e alcune fiaccole portate da gente comune rischiaravano il cammino, e pure queste facevano una luce fioca, perché l’oscurità era talmente fitta che sembrava voler divorare le fiamme e fiammelle.
Salirono tutti senza difficoltà, al passaggio del feretro, i corvi appollaiati sui rami chinarono il capo, gracchiarono una volta e poi tacquero.
Ad aspettarli il becchino con la faccia da cocker. Appoggiato stancamente al suo fedele badile, si grattava con la mano destra dietro l’orecchio, socchiudendo gli occhi alle delizie di quel piccolo piacere privato; aveva già scavato la fossa e sistemato la terra in un cumulo ordinato lì accanto; si era preoccupato lui stesso di procurare il gallo nero che aveva attaccato al tronco nodoso di un albero.
Si disposero tutti in cerchio attorno alla fossa, calarono la bara e attesero…poi l’orchestra cominciò ad intonare una strana melodia: ossessiva, frenetica; vivace, con tamburelli e chitarre e tromboni. Il sacerdote aveva preso un secchio con un sacchetto di plastica, da un foro praticato al centro spuntava una canna dritta e gialla; dopo essersi bagnato le mani, il vecchio cominciò ad armeggiare, in un movimento – dal basso verso l’alto- che ricordava qualcosaltro. Lo strano strumento emetteva un suono cupo, un soffio cavernoso e regolare….
WWOOFF….
WWOOFF…
WWOOFF…
La musica si fece sempre più veloce.
Ben presto tutti cominciarono a muoversi e a danzare al suo ritmo, gli uomini più distinti dapprima si limitarono a tenere il tempo battendo timidamente il piede poi invece anche loro cominciarono a danzare; le donne vestite di nero si stracciarono gli abiti, rivelando sotto di essi sgargianti vesti multicolori e leggeri: gonne rosse; corpetti gialli…e tutte avevano acconciature particolari e graziose.
Nessuno poteva stare fermo.
Persino il mandarino sembrava aver perduto la sua calma spirituale e si era messo a danzare.
Sembrava che fossero tutti sotto l’effetto di strane convulsioni.
In preda agli spasimi era anche la baronessa, che si alzò dalla carrozzella e sempre contorcendosi al ritmo della musica si avvicinò al gallo e presolo per le zampe lo fece vorticare in aria in ampi cerchi per tre volte, poi con un coltello che quasi magicamente aveva fatto comparire nell’altra mano, sgozzò la bestia.
Dal collo aperto dell’animale che ancora si dibatteva colava lentamente il sangue e la donna, senza sprecarne una goccia, tracciò con esso circoli e simboli e strane parole attorno alla fossa.
La gente attorno danzava sempre più violentemente, mentre la musica aumentava di velocità.
Dalla folla si staccarono due ragazzi dalla pelle scura e liscia, entrambi indossavano solo dei calzoni rossi e neri ed una sottile fascia di seta viola attorno al capo. Con movimenti aggraziati e coordinati, girarono attorno alla fossa; fissi tenevano gli occhi negli occhi: gamba destra avanti, gamba sinistra dietro, poi viceversa, come due felini che si scrutano prima di attaccarsi. Qualcuno nella folla lanciò due spade e i ragazzi cominciarono a danzare cozzando le lame, simulando un combattimento.
Mentre il nano, assiso sulla carrozzella dirigeva la musica e le urla come un sapiente maestro d’orchestra col suo bastone.
All’improvviso il vecchio curato s’irrigidì e sbarrò gli occhi. Le labbra gli si serrarono così forte che persero il loro colore naturale; le membra cominciarono poi a scuotersi violentemente, sempre più veloce, sino a che non cadde al suolo scosso sempre dagli spasmi. Una bava biancastra cominciava a colarli dal lato destro della bocca, gli occhi ribaltati che sembravano non esistere…e la folla sempre più contenta aumentò d’intensità la propria frenesia.
Due portantini si allontanarono di alcuni metri, si levarono i cappucci e cominciarono a sputare vampate di fuoco che disegnarono archi luminoso in quella nera notte.
E proprio quando la danza era quasi giunta al termine, dalla fossa il vecchio spalancò gli occhi e cominciò a scalciare nel lembo di terra in maniera convulsa. Fu sorprendente vederlo spiccare un salto che lo portò nel mezzo della folla dove anche lui cominciò a danzare; allora la musica non cessò ma continuò alla stessa maniera, la vecchia alzò le braccia al cielo e urlò:
«Satanasso! Eccolo! E’ il male che l’ha ucciso! Più forte, più forte! Il Barone deve danzare!».
E tutti come comandati da Dio in persona riprendevano la danza. Il cadavere animato da una forza misteriosa, seguiva come meglio poteva il ritmo, con gli occhi fissi nel vuoto, sbarrati e cerchiati di nero; la pelle giallastra e tirata aveva assunto una durezza ed una strana lucentezza come fosse cera: il vecchio danzava e i musici suonavano.
La vecchia nel frattempo aveva preso una bottiglia di rum e dopo aver fatto due sorsi abbondanti sputava con un getto poderoso sulla lapide dove era stato messo il pitone che si contorceva sulla croce; poi tirava una boccata ad un grosso sigaro scuro soffiando il fumo sul rettile.
A poco a poco anche gli altri vennero rapiti dal ritmo della musica: toccò al nano che divenne rigido come uno stoccafisso con la maschera dipinta sembrava un gargoyle strappato da una cattedrale e messo lì senza motivo, cadde dalla carrozzella, e venne scosso anche lui dalle convulsioni; poi toccò all’uccello dal piumaggio blu, che prese il serpente-trombone, lo buttò per aria e cominciò a danzare in circolo urlando al cielo sulle grosse zampe arancione; le donne danzavano facendo volteggiare le ampie gonne, battendo il tamburello colorato con le mani e muovendosi con esso; lo strumento del sacerdote venne preso da un uomo grosso e barbuto che cominciò a percuoterlo in maniera più violenta…tutti erano in preda a questa strana euforia, gli unici che sembravano immuni erano il becchino che rimaneva fermo sul suo fedele badile aspettando il momento per ricoprire di terra la fossa e che ogni tanto sbadigliava annoiato; e lo scemo del villaggio che batteva le sue mani callose fuori tempo e sorrideva divertito.
La danza durava ancora quando verso le sei del mattino la luce si impose sulla notte dissolvendola lentamente, il cadavere allora si afflosciò e ricadde supino nella bara, i suonatori smisero di suonare e i danzatori di danzare.
La vecchia soddisfatta ricadde sulla carrozzella, ritornando ad essere la solita paralitica; chi era cascato per terra si rialzava tentando di ridarsi un vecchio contegno perduto ma non dimenticato.
Il becchino con un sospiro prese il badile tra le mani e cominciò a buttare terra sulla bara che era stata chiusa con la carta da gioco.Quando fu coperta del tutto la campana del villaggio batté i rintocchi del mattino, mentre gli uccelli cantavano e i corvi si erano dileguati; tutti allora ridiscesero il colle ritornando poco a poco alle loro case nel piccolo villaggio.

Friday, August 25, 2006

L'UNTO E' COME LO SPORCO...RITORNA SEMPRE!!!

Non avevo nulla da scrivere e non mi veniva nulla da scrivere, poi lo zoo multietnico che è diventata l'Italia mi ha regalato l'idea. O meglio ancora un uomo, lui: il Cavaliere.
Non ho voglia di fare satira, di attacarlo, nè tantomeno di elogiarlo, c'è chi accusa e lecca il culo meglio di me e lascio fare a loro...però una parola concedetemela!
Il Cavaliere è andato al meeting di CL (Comunione e Liberazione il nome è tuto un programma! Chissà se Dio mi punirà per aver insultato delle persone candide come la mia merda!!!) e qui abbracciando la folla ha cominciato uno dei suoi panegirici; non starò a dire nulla su quanto ha detto, se non una cosa: prima delle elezioni dfi quest'anno il Cavaliere aveva detto che si sarebbe dimesso dalla politica in caso di sconfitta (come i bambini che se non li dai considerazione si offendono e se ne vanno!).
Ora, le elezioni sono finite da un pezzo, (lasciamo perdere l'esito, perchè ci siamo sbarazzati di un coglione ma ne è arrivato un altro) eppure a me sembra che lui sia ancora presente, onniscente e sopratutto fatiscente, affermando contrito davanti ai tollerantissimi MEMBRI (e non nel senso di appartenenti ad un qualcosa...) che LUI E' CONDANNATO A RIMANERER IN POLITICA!!!!!
Forse non si è accorto il Cavaliere dell'ultima spettacolare mossa del nuovo governo dove i condannati vengono rimessi in libertà???
Allora cosa aspetti?
TORNA A CASA LESSO!!!!

Tuesday, August 22, 2006


Metto sul post di oggi un altro breve racconto che ho scritto circa un anno fa per un concorso letterario a cui però non ho mai partecipato perchè quando andai per spedirlo, era già scaduto da tipo una settimana...buona lettura!

Aldebaran:*

«E’ l’esplosione della mia coscienza, che nella sua espansione tocca le parti più lontane di questa parte di universo, e mentre si ritira acquisce volontà.
Da materia sono diventata vita, non più un agglomerato di corpi vorticanti, ma puro pensiero pensante: l’Io di me che si è fatto pensiero.
Mi chiamano dea e forse lo sono davvero, ma in questa parte di mondo dove mi trovo non ci sono paradiso nè inferno, non ci sono fedeli da punire, nessun gregge smarrito da riportare indietro...solo Io; la mia luce si irradia dal mio corpo in maniera strana, portata attraverso lo spazio e la dimensione, dal tempo.
Sospesa in questo vuoto esistente, io sono.
Sono l’unica ad aver appreso che il pensiero è la prima e la più
antica forma di libertà.
Lontane, le mie sorelle giacciono come morte, di loro nemmeno una si sottrarrà al processo delle cose, io invece che ho imparato ad ascoltare il silenzio del mio moto e il rumoroso suono della mia luminosità di
là della massa, cangiante ma contenuta in una sferica perfezione; io
che posso sentire la voce lontana di quanti, muti e assorti, mi contemplano e mi elogiano pur senza conoscermi, io sopravvivo a tutto questo.
Dentro di me ho provato come ci fosse qualcosa, sono stata feto e partoriente allo stesso tempo, e la coscienza che cresceva in me eone dopo eone, sviluppandosi sino quasi a pulsare di vita propria e mia,
ha steso i suoi limiti vibrando di brillante intensità e mi ha
riempita
di sè, donandomi nuova vita.
Ho concepito me stessa.
La nascita di un dio.
Il primo vagito, antico come le memorie che mi porto dentro è stato l’affermazione della mia esistenza, ego fûi; nel silenzio della soddisfazione che nascermi mi aveva dato, dove mi sono sentita ringraziare di essere, dove ho partorito che tutto è reale e razionale, che tutto ero Io, l’Io che è in questo momento.
Le galassie attorno si sono voltate, scansate al mio passaggio, mostrandomi il limite dell’Assoluto un limite che non esiste. Eppure non ero lontana da dove ero nell’attimo prima, perchè io ero e sono dappertutto: conoscevo ogni remoto atomo che mi ricomprendeva, ho vissuto e vivo mille vite contemporaneamente in tutti i luoghi, dalla semplice forma di vita a quella più complessa e ogni attimo, se lo voglio, posso sentire all’unisono i loro dolori, le loro gioie; le
loro vite e le loro morti e le loro rinascite.
Io stessa nasco e muoio sempre nello stesso istante, la mia luce si consuma, la mia massa si comprime e si spegne, per esplodere nello stesso istante, ridandomi più calore di prima.
Io sono puro essere.
Non sono Materia, non sono Spirito, eppure racchiudo in me tutto di entrambi: una nozione completa di ogni cosa, che continua ad espandersi e a restringersi sono voi, sono ogni cosa...»


Dalla relazione elaborata in contemporanea
dai satelliti di ogni sistema solare,
puntati verso
la Costellazione del Toro,
non molto tempo fa...

*la stella più luminosa della Costellazione del Toro

Monday, August 21, 2006


Interrompo lo studio et preparatione della tesi altrimenti comincio ad evocare demoni (per chi ancora non lo sapesse sto preparando la tesi sulla stregoneria! Che c'entra, direte voi? Che ve ne frega, rispondo io?). Tra una pausa e l'altra sono andato a spulciare l'home page di Repubblica (il quotidiano), solitamente lo faccio tre o quattro volte al giorno, e considerando che al pc ci sono in media dalle 17.00 sino a notte fonda, la media sale un pochetto!
Comunque tornando a noi, giusto per sdrammatizzare e per dimostrare quanto ulteriormente diventiamo idioti vi riporto il titolo di questo aticolo:

Tom & Jerry fumano e scatta la censura"Sono diseducativi"

In poche parole: Siamo a Londra, un telespettatore si lamenta per due scene che vanno in onda sul televisore, del cartone animato Tom e jerry (chi non li conosce è pregato di abbandonare questo blog, grazie!), dove Tom si fa vedere che accende e fuma una sigaretta!!!! il buon telespettatore indignato non perchè lascia il figlio davanti la tv, interessandosene solo il tempo che basta perchè il pupo non veda scene troppo esplicite di violenza o di sesso...; no il buon padre aka telespettatore, tanta è la sua indignazione che trova il tempo di scrivere una lettera all' Ofcom (l'ente britannico che vigila a che i programmi televisivi non contengno scene offensive ma dosi sufficienti di spot luccicosi e programmi che annichiliscano la scarsa materia cerebrale degli spettatori) dicendo che le scene nuociono al pupo che magari come tutti da bambini, ha provato ad accenderla la sigaretta (io provai a mangiarla ma io sono un caso a parte!).
la cosa più triste non è tanto il fatto che l'ente abbia preso in considerazione la lettera, quanto il fatto che il telespettatpre l'abbia avuta vinta: le scene offensive (he risalgono alla fine degli anni '40) non verranno più trasmesse e altre simili verranno epurate!!!
Il pupo è salvo e il padre può tornare a interessarsi a rate (e male!) della sua educazione.
Ora io mi chiedo, quali altre opere cadranno sotto quste forche caudine? Forse ora che ci penso farò causa a Dante perchè il suo "...e del cul fè trombetta...2 offende la mia sensibilità di uomo civile del futuro!
P.S.
Mi accendo una sigaretta....censuratemi!

Data la massiccia idiozia che si sta accumulando alla maniera dei rifiuti, e spinto da un lucente pessimismo verso il futuro, un po' di tempo fa ho scitto questo racconto sulla fine del mondo. Premetto che una casa editrice a cui ho sottoposto il testo mi ha risposto: "Spiacenti ma non è il genere di cose che pubblichiamo!" Che poi è il modo gentile per dire: mi fai cahà: tu e il tuo racconto del cazzo...vabbè chissene..!!!!
Buona lettura

EPILOGO:

La fine del mondo era arrivata, e tutto era pronto.
I preparativi erano stati lunghi e la gente si era impegnata sul serio, c’erano stati contrattempi, ma quelli ci sono sempre: qua e là gente che scendeva a manifestare, intralciando il normale corso delle cose, o addirittura casi singoli: c’erano state singole persone che con le loro parole, con i loro gesti (uno ad esempio era rimasto fermo, senza muoversi o parlare, a farsi picchiare) avevano davvero rischiato di mandare tutto a monte.
Eppure ci si era arrivati!
Nonostante tutto questo e altro ancora, la fine del mondo era arrivata.
Ma come tutte le cose che si aspettano con trepidazione, quando essa arrivò, nessuno se ne accorse; tutti dicevano, pensavano, che la cosa sarebbe stata magnifica, superba, qualcosa da ricordare: con botti e luci, suoni e colori: la terra andava in scena per l’ultima volta nella sua più grande interpretazione di tutti i tempi, e tutti i biglietti erano stati ormai venduti e l’umanità intera attendeva in un’unica grande prima fila la prima!
La storia aveva consegnato alla memoria opere che pontificavano (magnificendo) la fine del mondo e forse per questo motivo quando arrivò la vera fine del mondo nessuno se ne accorse.
Ma quando finalmente se ne resero conto, allora cominciarono a glorificarla dappertutto, cominciarono i festeggiamenti a lungo attesi e preparati, dapprima i profeti e i santoni parlarono alle folle dimostrando che quanto avevano predetto si era avverato, se non proprio come avevano vaticinato loro, però, dicevano, almeno si erano avvicinati.
Vennero assunte per l’occasione migliaia di ballerine perchè danzassero la danza della fine del mondo, per non parlare di funamboli, di pagliacci, il cui numero era di gran lunga superiore a tutti gli altri messi assieme.
Tutte le automobili poi vennero tolte dalle strade, perchè fossero sgombre per il pubblico: non più arterie occluse da supposte metalliche, ma semplici sentieri della civiltà, pulite e sopratutto deserte; i più bizzarri allora decisero di andare in giro a cavallo perchè, come riferirono alle televisioni, volevano aspettare la fine con stile e nella maniera più chic possibile e per un breve periodo era davvero strano vedere questi cavalieri del futuro che si muovevano al galoppo.
Le capitali degli stati si misero in contatto diretto le une con le altre, tramite satelliti, maxischermi vennero montati nelle più grandi piazze del mondo, perchè il pubblico potesse vedere come da altre parti festeggiavano l’evento.
Anche le religioni si diedero da fare: davanti le chiese cartelli con offerte di conversioni facevano la loro grassa figura:

Attendete la fine con il conforto divino!
Regalatevi una speranza per l’aldilà
Oggi maxi offerta:
ogni famiglia che si converte avrà in regalo tutti i sacramenti!
Varcate le porte del Nulla illuminati!

E c’è da dire che avevano una grande presa sul pubblico, perchè a frotte arrivavano a convertirsi: c’erano gli atei che all’ultimo momento avevano troppa paura per continuare a credere in loro stessi e preferivano allora cominciare a credere in qualuno altro; poi c’erano quelli che già credevano ma non avevano mai avuto la forza di dirlo in giro (forse troppo orgogliosi) e quindi si sentivano in dovere, illuminati da una luce divina, di confermare il loro credo, forse perchè si erano resi conto che quello vecchio era ormai scaduto.


Allora dappertutto si vedevano episodi commoventi di gente che piangeva per la felicità di aspettare la fine con il conforto supremo: molti si radunavano di pomeriggio a cantare, vestiti di bianco, convincendosi di volersi bene, sino a quando non ritornavano nelle case per i programmi televisivi delle sette sugli ultimi aggiornamenti per i preparativi finali.
L’atmosfera era particolare, la si poteva toccare tutta l’adrenalina e la frenesia che sembrava quasi scorrere a fiumi, nessuno però si lasciava prendere dal panico, tutti erano piuttosto eccitati e non era strano vedere gruppi di persone in mezzo alle piazze che urlavano e cantavano; la televisione aveva annunciato a reti unificate che la fine sarebbe arrivata non a mezzanotte come i romantici e i sognatori credevano, bensì alle tre di un banalissimo mercoledì pomeriggio; i produttori dei programmi della tv dopo aver consultato le previsioni e i pronostici, si erano preoccupati non poco, perchè il giorno e la data non erano certo convenienti per lo share e l’audience, poi però si erano messi a lavorare sul serio, alcuni addiritura non avevano dormito per notti intere escogitando cose originali che tenessero la gente incollata davanti la televisione; poi però si erano detti che con i maxischermi nelle piazze non avrebbero certo corso gravi pericoli, e quindi si rilassarono e ritornarono a dormire sonni tranquilli.
E finalmente arrivò il mercoledì.
A mattino la gente diceva che era un giorno come un altro e che non sarebbe stata una fine del mondo degna di essere tale. Ad esempio, già il sole: pallido, andava e veniva, non riscaldava affatto...insomma non era propriamente una bella giornata, i fatalisti dissero che era inevitabile fosse così, ma nessuno li capì.
Si erano svegliati tutti un po’ confusi: chi si preparava per andare al lavoro, chi spegneva la sveglia messa per l’alba rigirandosi nel letto, le mamme addirittura prepararono i bambini per andare a scuola attente che ogni loro movimento rientrasse nei limiti di tempo.
Ma poi si resero conto che non dovevano fare niente di tutto questo e si rilassarono, preparandosi per la grande festa che li avrebbe atteso per tutto il giorno.
A mezzogiorno tutti si radunarono nelle piazze, mancavano tre ore e già cominciavano i primi episodi di panico: chi si rese conto che in poco tempo tutto non sarebbe più esistito, venne rapito da un attaccamento quasi mistico di materialismo e cominciò ad accusare a caso chi gli stava intorno, scatenando reazioni simili in poco tempo un po’ dappertutto.
Alle tredici cominciò a piovere.
Quelli che non erano troppo presi nel litigare col vicino perchè magari quando si faceva la barba l’attrito delle lame all’ultimo modello (che rilasciava una crema idratante), mandava scariche elettrostatiche che avvicinavano la Terra al Sole...; caddero in ginocchio tra le lacrime perchè dicevano la fine era arrivata in anticipo e che ormai non potevano nulla.
Meno male allora vennero aperti i collegamenrti sui maxischermi, cominciarono i programmi a lungo preparati ma sfortunatamente non servirono ad attirare l’attenzione, la gente non ne voleva sapere di ballerine e battute squallide di omini in doppiopetto, così continuò a piangere o a litigare.
Tutto stava andando per il peggio, dal cielo la pioggia non accennava a smettere, le accuse si facevano sempre più numerose tanto che cominciarono a nascere delle fazioni, per alcuni la causa della fine del mondo era dovuta ai ristoranti di cucina straniera, secondo altri la colpa era dovuta alla quantità enorme di capelli tagliati, che con la loro massa allontanavano la Terra dal suo asse provocando un collasso (i più però si fermavano ai capelli tagliati, perchè troppo difficile capire il resto). Sembrava volessero per forza trovare una giustificazione che li convincesse, che li soddisfacesse, ma proprio non ci riuscivano, e quindi preferivano aggrapparsi al primo vano scoglio che gli si presentava.
Ormai mancava davvero poco, meno di un’ora e ancora non si era riusciti a trovare la vera causa della fine del mondo.
Alle quattordici e trentanove si sentì un urlo tra la folla: una donna riversa sulla piazza assistita da un’infermiera aveva partorito un bambino che piangeva a pieni polmoni tra la gente a metà tra l’indifferente e lo sgomento.
Allora fu il caos: alcuni si inginocchiarono ai piedi del neonato adorandolo come Messia e implorando perdono, altri invece urlarono che era il frutto delle loro colpe e causa primigena, ora manifesta, della distruzione del mondo intero.
Alle quattordici e quarantasette si erano create due fazioni: quelli che vedevano nel bambino la salvezza e quelli che invece ci vedevano la morte certa! Immediatamente arrivarono le televisioni a intervistare la madre che commossa cercava di rispondere alle domande mentre gli enormi schermi mandavano le immagini in diretta mondiale e già c’era chi urlava che la bava del bimbo era miracolosa perchè lo aveva guarito dal mal di schiena cronico e tutti allora a cercare di prenderne un po’ per guarire i propri mali.
Alle tre meno un minuto le campane si misero a suonare, tutti allora rimasero in silenzio a guardare il cielo, aveva smesso di piovere ma si era alzato uno strano vento caldo; il respiro di tutti era fermo, mancava davvero poco, tutto allora vennne affrettato: ai ritardatari davanti le chiese vennero dati conversioni, sacramenti e assoluzioni in massa; chi aveva un rancore tirò un pugno al vicino e subito gli chiese scusa...
Le quindici!
...
Nessuno parlava.
Tutti erano immobili in attesa di qualcosa di non meglio specificato, attesero a lungo ma non accadde nulla.
Nessun botto.
Nessun terremoto.
Nessuna guerra tra angeli e demoni.
Nessun morto a risvegliarsi.
Niente!
Quando si furono stancati di aspettare, delusi e sconfitti, cominciarono a ritornare a casa, forse in tempo per l’edizione straordinaria delle sedici, che li avvertiva e confermava che la fine del mondo non era arrivata.

Alle quindici, un minuto e trenta secondi, in una caverna della Dalmazia e contemporaneamente in una del Carso, una roccia sedimentaria si stacca dal soffito uccidendo due nidiate di protei mettendo fine alla loro specie.

Francesco Lacava
FINE

Sunday, August 20, 2006


Tra lo sciabordio delle onde e i suoni confusi di mille lingue, vi do il benvenuto ad Approdo del Re: città antica e porto del mondo.
Non fate caso alle prostitute dai seni cascanti e ai cenciosi che ciondolano smaltendo una sbornia da quattro soldi, non vi toccheranno se rimarrete accanto a me! E non prestate attenzione all'odore di acqua stagnante mista a rifiuti, che impregna queste pietre consunte e queste strade: è un porto e come tale va considerato, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti.
Venite con me, vi porto a visitare questa gloriosa capitale, dove mille culture si incontrano in un amplesso lungo e feroce, al termine del quale entrambe sono fuse l'una nell'altra; vi mostrerò i luoghi magici di questo strano posto; i personaggi chiave di questo crogiuolo brulicante e caleidoscopico, e durante il viaggio vi narrerò anche qualche leggenda locale, per apprezzare quanto vedrete.

Ci sarà tempo anche per assaggiare i piatti della cucina di alcune di queste rumorose bettole: ce ne sono tante, ma solo poche sanno cosa significhi cucinare qualcosa di saporito e sopratutto a buon prezzo!
Quindi non avete nulla da perdere: seguitemi e vi terrò compagnia e vi do la parola di marinaio che non vi annoierete!