Saturday, August 26, 2006


Questa volta voglio mostrarvi un delirio: il racconto che vi presento, è il frutto di una "visione" (che poi per esigenza narrativa ho modificato) avuta una calda notte di estate mentre ero in vacanza dalle mie parti in Puglia.
Buona lettura...

La Processione

Il nano agitando il bastone apriva la processione. Vestito di uno stinto frac nero sopra una camicia ingiallita e aperta sul petto; zoppicando arrancava al suono degli strumenti, mentre la coda dell’abito garriva sulle tozze e storte gambe.
Un nero cilindro sul capo troppo grosso per un corpo così corto; e sulla faccia dipinta di bianco, una maschera di teschio volgarmente abbozzata con un cerone, un sorriso di piena soddisfazione a dire al mondo: “Guardatemi! Conduco e comando io!”
E dietro la più variopinta serie di figure che quel suolo avesse mai visto: la banda era stata raccattata all’ultimo momento correndo tra le vie del villaggio a monte.
Si diceva fosse davvero un uccello quello che per primo apriva il corteo dei musicanti, portava un grosso serpente del colore dell’ottone, le fauci spalancate e asciutte di veleno; l’intero corpo era attorcigliato a mo’ di trombone e cingeva la vita del pennuto che lo suonava dalla possente coda bucata.
Le piume blu delle ali coprivano i fori lungo il corpo del rettile modulandone il suono che usciva dalla bocca; anche l’uccello come il nano indossava un frac del colore del cielo più vicino alla luna.
Subito dietro, due suonatori di violino di cristallo, che con maestria dirigevano gli archi sulle corde di legno giovane, entrambi con lo stesso sorriso, entrambi con la stessa faccia: due gemelli siamesi uniti per la schiena, camminavano a turno l’uno davanti all’altro girando su se stessi e sollevando sbuffi di polvere amaranto della strada di campagna.
Poi trombettisti di colore con trombe di terracotta o ad acqua di mare; donne che suonavano piatti di porcellana, si frantumavano sbattendoli l’uno contro l’altro…
Ai lati della strada a coppie poste sulla destra e sulla sinistra, bambini vestiti di calzoni cachi e magliette a righe rosse e grigie conducevano su mazzi di scopa, scheletri umani dentro di cui la gabbia toracica erano state poste delle lanterne ad olio.
Un mandarino vestito di viole tenute insieme da scintillanti crini di cavallo, levitava a mezz’aria con le gambe incrociate, la faccia che trasudava serenità perpetua e nell’incavo delle cosce, un tamburo esagonale di giada luccicante dove due topini bianchi saltellavano sulle zampette producendo un suono delicato.
Erano in quattro che trasportavano la bara in mogano senza coperchio: dentro il cadavere.
Sul petto composto e ben vestito, una grossa carta da gioco con il quattro di bastoni; il suo volto, quello di un vecchio sdentato dai favoriti folti e bianchi, riposava con un sorriso di sazietà di chi aveva provato tutto nella vita e non aveva rimpianti di nessun tipo.
Entrambe le mani reggevano, tra le vecchie dita rigide, i bordi della carta da gioco.
Coloro che lo trasportavano, oscillavano a destra e a sinistra e sembrava quasi che nel loro moto la bara dovesse cascare da un momento all’altro, ma le dita dei quattro portantini tenevano ben salda la stretta sui manici d’ottone del catafalco: due passi avanti ed un indietro procedevano così, lentamente, a piedi scalzi; una tunica bianca dalle maniche lunghe, di velluto nero poi la mantellina che tenevano sulle spalle, mentre sempre bianco era il cappuccio a punta, solo due fori per gli occhi, ed una corona di spine in cima.
Quattro lugubri fantasmi che arrancavano al suono lento e cupo della musica, le mani, coperte da guanti bianchi, avevano al polso un piccolo rosario di legno, e le dita che non stringevano i manici, portavano un lungo bastone nero che terminava con un gancio metallico dorato, dove poter appoggiare la bara durante le soste.
E dietro il catafalco traballante, la vecchia baronessa sulla sedia a rotelle che si muoveva guidata dalla musica, coi suoi capelli grigio-viola raccolti sulla nuca, la pelle ormai flaccida come un vecchio otre consunto ricopriva –tremolante- il volto truccato; un rossetto amaranto e lucente le ricopriva le labbra così sottili e screpolate impiegate a masticarsi le gengive che le prudevano per la dentiera nuova che aveva indossato per l’occasione.
Dall’alto dei suoi novantasette anni, guardava tutti i partecipanti e i suoi verdi occhi acquosi e cisposi avevano un’espressione seria, o quanto meno cercavano di reggerla, anche se dentro sembrava che si agitasse una festa da ballo tanto era contenta e divertita: “Uhm!” pensava “Anche questa volta non è stato il mio turno. Me la sono scampata!” mentre la carrozzella continuava con un ronzio che sembrava quello di un motore che stesse per esalare l’ultimo respiro.
Ad accompagnare la baronessa il sacerdote.
Sessantenne dai capelli bianchi che parevano cotonati. Il curato – che raramente si era curato delle anime del villaggio-, veniva avanti con le mani giunte all’altezza del petto: indossava una lunga tonaca viola a disegni sacri e ricami in filigrana d’oro; il messale, un portentoso tomo di velluto rosso, gli penzolava dal fianco destro oscillando avanti e indietro ad ogni passo, attaccato ad una catenella anch’essa d’oro. Subito alle sue spalle un uomo corpulento e completamente calvo dagli occhi sporgenti simili a quelli di un pesce; un naso grosso e le labbra screpolate semi aperte e tumefatte: lo scemo del villaggio!
Tra le mani vigorose portava bene in vista un enorme crocefisso d’ebano, anche lui, come il nano, era fiero della sua posizione e del suo ruolo; esibiva il simbolo sacro come un feticcio, dove era stato messo un enorme pitone che si contorceva viscido e lucido.
Ogni tanto una delle tante donne vestite di nero con pesanti veli ricamati che le ricopriva la testa si facevano avanti e buttavano del rum sulla croce da piccole bottigliette di vetro che si portavano dentro minute borsette…queste pie che urlavano battendosi il petto e altra gente comune che per noia, curiosità o affetto avevano voluto partecipare alla processione, chiudevano il corteo.
E tutti dopo una buona mezzora giunsero ai piedi di un colle, sulla sua sommità si distinguevano le sagome scure di lapidi e cappelle. In maniera regolare cipressi si trovavano lungo il fianco, costeggiando una serie di scalini in pietra.
La sera era la più scura che la gente del villaggio ricordasse, non una stella, non la faccia bianca della luna ad accompagnare il corteo nel suo lugubre viaggio. Solo le lanterne dentro gli scheletri e alcune fiaccole portate da gente comune rischiaravano il cammino, e pure queste facevano una luce fioca, perché l’oscurità era talmente fitta che sembrava voler divorare le fiamme e fiammelle.
Salirono tutti senza difficoltà, al passaggio del feretro, i corvi appollaiati sui rami chinarono il capo, gracchiarono una volta e poi tacquero.
Ad aspettarli il becchino con la faccia da cocker. Appoggiato stancamente al suo fedele badile, si grattava con la mano destra dietro l’orecchio, socchiudendo gli occhi alle delizie di quel piccolo piacere privato; aveva già scavato la fossa e sistemato la terra in un cumulo ordinato lì accanto; si era preoccupato lui stesso di procurare il gallo nero che aveva attaccato al tronco nodoso di un albero.
Si disposero tutti in cerchio attorno alla fossa, calarono la bara e attesero…poi l’orchestra cominciò ad intonare una strana melodia: ossessiva, frenetica; vivace, con tamburelli e chitarre e tromboni. Il sacerdote aveva preso un secchio con un sacchetto di plastica, da un foro praticato al centro spuntava una canna dritta e gialla; dopo essersi bagnato le mani, il vecchio cominciò ad armeggiare, in un movimento – dal basso verso l’alto- che ricordava qualcosaltro. Lo strano strumento emetteva un suono cupo, un soffio cavernoso e regolare….
WWOOFF….
WWOOFF…
WWOOFF…
La musica si fece sempre più veloce.
Ben presto tutti cominciarono a muoversi e a danzare al suo ritmo, gli uomini più distinti dapprima si limitarono a tenere il tempo battendo timidamente il piede poi invece anche loro cominciarono a danzare; le donne vestite di nero si stracciarono gli abiti, rivelando sotto di essi sgargianti vesti multicolori e leggeri: gonne rosse; corpetti gialli…e tutte avevano acconciature particolari e graziose.
Nessuno poteva stare fermo.
Persino il mandarino sembrava aver perduto la sua calma spirituale e si era messo a danzare.
Sembrava che fossero tutti sotto l’effetto di strane convulsioni.
In preda agli spasimi era anche la baronessa, che si alzò dalla carrozzella e sempre contorcendosi al ritmo della musica si avvicinò al gallo e presolo per le zampe lo fece vorticare in aria in ampi cerchi per tre volte, poi con un coltello che quasi magicamente aveva fatto comparire nell’altra mano, sgozzò la bestia.
Dal collo aperto dell’animale che ancora si dibatteva colava lentamente il sangue e la donna, senza sprecarne una goccia, tracciò con esso circoli e simboli e strane parole attorno alla fossa.
La gente attorno danzava sempre più violentemente, mentre la musica aumentava di velocità.
Dalla folla si staccarono due ragazzi dalla pelle scura e liscia, entrambi indossavano solo dei calzoni rossi e neri ed una sottile fascia di seta viola attorno al capo. Con movimenti aggraziati e coordinati, girarono attorno alla fossa; fissi tenevano gli occhi negli occhi: gamba destra avanti, gamba sinistra dietro, poi viceversa, come due felini che si scrutano prima di attaccarsi. Qualcuno nella folla lanciò due spade e i ragazzi cominciarono a danzare cozzando le lame, simulando un combattimento.
Mentre il nano, assiso sulla carrozzella dirigeva la musica e le urla come un sapiente maestro d’orchestra col suo bastone.
All’improvviso il vecchio curato s’irrigidì e sbarrò gli occhi. Le labbra gli si serrarono così forte che persero il loro colore naturale; le membra cominciarono poi a scuotersi violentemente, sempre più veloce, sino a che non cadde al suolo scosso sempre dagli spasmi. Una bava biancastra cominciava a colarli dal lato destro della bocca, gli occhi ribaltati che sembravano non esistere…e la folla sempre più contenta aumentò d’intensità la propria frenesia.
Due portantini si allontanarono di alcuni metri, si levarono i cappucci e cominciarono a sputare vampate di fuoco che disegnarono archi luminoso in quella nera notte.
E proprio quando la danza era quasi giunta al termine, dalla fossa il vecchio spalancò gli occhi e cominciò a scalciare nel lembo di terra in maniera convulsa. Fu sorprendente vederlo spiccare un salto che lo portò nel mezzo della folla dove anche lui cominciò a danzare; allora la musica non cessò ma continuò alla stessa maniera, la vecchia alzò le braccia al cielo e urlò:
«Satanasso! Eccolo! E’ il male che l’ha ucciso! Più forte, più forte! Il Barone deve danzare!».
E tutti come comandati da Dio in persona riprendevano la danza. Il cadavere animato da una forza misteriosa, seguiva come meglio poteva il ritmo, con gli occhi fissi nel vuoto, sbarrati e cerchiati di nero; la pelle giallastra e tirata aveva assunto una durezza ed una strana lucentezza come fosse cera: il vecchio danzava e i musici suonavano.
La vecchia nel frattempo aveva preso una bottiglia di rum e dopo aver fatto due sorsi abbondanti sputava con un getto poderoso sulla lapide dove era stato messo il pitone che si contorceva sulla croce; poi tirava una boccata ad un grosso sigaro scuro soffiando il fumo sul rettile.
A poco a poco anche gli altri vennero rapiti dal ritmo della musica: toccò al nano che divenne rigido come uno stoccafisso con la maschera dipinta sembrava un gargoyle strappato da una cattedrale e messo lì senza motivo, cadde dalla carrozzella, e venne scosso anche lui dalle convulsioni; poi toccò all’uccello dal piumaggio blu, che prese il serpente-trombone, lo buttò per aria e cominciò a danzare in circolo urlando al cielo sulle grosse zampe arancione; le donne danzavano facendo volteggiare le ampie gonne, battendo il tamburello colorato con le mani e muovendosi con esso; lo strumento del sacerdote venne preso da un uomo grosso e barbuto che cominciò a percuoterlo in maniera più violenta…tutti erano in preda a questa strana euforia, gli unici che sembravano immuni erano il becchino che rimaneva fermo sul suo fedele badile aspettando il momento per ricoprire di terra la fossa e che ogni tanto sbadigliava annoiato; e lo scemo del villaggio che batteva le sue mani callose fuori tempo e sorrideva divertito.
La danza durava ancora quando verso le sei del mattino la luce si impose sulla notte dissolvendola lentamente, il cadavere allora si afflosciò e ricadde supino nella bara, i suonatori smisero di suonare e i danzatori di danzare.
La vecchia soddisfatta ricadde sulla carrozzella, ritornando ad essere la solita paralitica; chi era cascato per terra si rialzava tentando di ridarsi un vecchio contegno perduto ma non dimenticato.
Il becchino con un sospiro prese il badile tra le mani e cominciò a buttare terra sulla bara che era stata chiusa con la carta da gioco.Quando fu coperta del tutto la campana del villaggio batté i rintocchi del mattino, mentre gli uccelli cantavano e i corvi si erano dileguati; tutti allora ridiscesero il colle ritornando poco a poco alle loro case nel piccolo villaggio.

1 Comments:

Blogger daniel said...

....e lo portaron...al campo santo...gonfio di birra...senza un rimpianto...se lo portaron...seduti in trono...quattro becchini al passo lento del perdono....

2:00 AM  

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