Thursday, January 25, 2007


Ed eccoci qui. Credo che qusto avviso sarà momentaneamente l'ultimo, dato che sono impossibiloitato a pubblicare ulteriori bandi ed avvisi.
Colpa di un danno irreparabile al mio studiolo, preso di mira da alcuni sedicenti imperiali che con strani incantesimi hanno fatto in modo che penne, calamai e pergamene non scrivano più...Ora sono un fuggitivo in attesa di poter scrivere ancora con un nuovo studio, magari più bello di quello precedente....
A presto avventori, ribelli e bardi...lunga vita ai ragni tessitori, ai nani e agli usignoli....morte
alla corte di Approdo del Re!!!
Alla prossima...

Saturday, January 20, 2007



Rieccomi. Come al solito ho fatto ritardo nel pubblicare il nuovo bando, ma sapete com'è, questa città ultimamente non se la passa tanto bene, tra tradimenti, assassinii e lotte...bisogna stare attenti su cosa fare e dire sesi vuole conservare la propria lingua.
Comunque queso è un nuovo racconto, lo spunto lo devo alla mia dolce metà, non è nulla di particolare solo un mero esercizio di stile per tenermi in allenamento.

Nostalgia
C’era il dirigibile che solcava il cielo, un enorme supposta grigia che si faceva beffe dei grattacieli sotto di lui, quasi a dimostrare che più in alto si poteva andare.
Dustin con gli occhi in sù accese una sigaretta prendendola dal pacchetto schiacciato, la accese e tirò ampie boccate senza aspirare.
L’insegna luminosa sul fianco del veivolo avvertiva che i negozi quella sera della vigilia sarebbero rimasti aperti sino alle 21, violando, con autorizzazione, il coprifuoco, e concludeva augurando a tutti un buon Natale.
Le decorazoni pendevano dalle strade come migliaia di chicchi di uva luminosi e scintillanti, e a Dustin fecero venire in mente l’ultima volta che aveva assaggiato l’uva, era stato quasi dieci anni prima, quando il mondo era ancora un posto tranquillo e i campi coltivati erano rigogliosi sotto i raggi del sole paziente .
Mentre ricordava i sapori lontani attraversò la strada bagnata, cumuli di neve sporca erano ammassati ai bordi dei marciapiedi, una neve malata, non candida e più pesante di quella normale; sollevò una mano per chiamare un taxi, e pochi istanti dopo una vettura scura si fermò accanto: “Strano come a New York i taxi siano sempre pronti a raccogliere cilenti” constatò nell’indiffernza.
All’interno un uomo dall’aspetto torvo al di là del vetro protettivo lo salutò con un grugnito.
«Dasybuck Avenue, 2523» esortò Dustin come a rispondere al saluto.
L’auto partì, l’interno puzzava di piscio e birra, sul sedile c’erano macchie scure “Sangue” e per terra alcune bottiglie vuote che tintinnavano sfiorandosi l’un l’altra.
La città scorreva sotto i suoi occhi come le immagini di un cinematografo, tutto sembrava così distante, così flebile, da risultare fasullo: vide piccole truppe di militari che pattugliavano le strade, controllando che tutto si svolgesse con ordine e calma.
Abbassò leggermente il finestrino, lasciando entrare un po’ di aria nell’abitacolo, si lasciò sprofondare nel sedile e chiuse gli occhi: l’aria fredda gli penetrò a forza nelle narici come una stilettata di puro ghiaccio, srrivandoli sin dentro i polmoni.
Improvvisamente l’autò rallentò e si fermò, “Siamo già arrivati?” si domandò esterrefatto.
Vide tre figure attorno all’automobile, due erano proprio accanto a lui, da entrambi i lati, l’altra invece era ferma al finestrino del tassista, reggevano delle torce con cui s’intrufolavano all’interno dell’auto.
Dustin si accorse che erano militari, uno ticchettò con la base della torcia sul vetro, lui l’abbassò e subito la luce lo investì di prepotenza.
«Buona sera» esordì una voce.
«A lei!» gli rispose Dustin massaggiandosi gli occhi.
«Dove state andando di bello?» chiese continuando a frugare col fascio di luce.
«A prendere mia moglie dal lavoro.»
«Ce l’ha il permesso serale?» la voce da ufficiale era atona.
Dustin si frugò nelle tasche del cappotto ed estrasse un foglio porgendolo all’uomo.
Nel frattempo quello accanto al tassista controllava i documenti e il terzo ispezionava l’automobile alla ricerca di qualcosa.
«Bene, grazie!» concluse il militare riconsegnando il foglio a Dustin, fece un saluto con la mano alla fronte e dopo che anche i documenti del tassista furono stati riconsegnati ripartirono.

L’uomo che era fuori dal locale era alto quasi due metri, grosse spalle a cui erano attaccate un paio di braccia che gli cascavano goffamente ai lati del corpo.
Indossava un doppiopetto scuro ed una cravatta rossa, a Dustin sembrò sul punto di esplodere, tanto il nodo alla gola era stretto. La pelle scura e levigata riluceva all’insegna blu, aveva un monocolo d’acciaio al posto dell’occhio destro, che si allungava e ritraeva con un debole ronzio, dal profondo dell’occhio metallico veniva una piccola luce rossa fissa che scrutva Dustin.
Appena sulla soglia, l’uomo fece scattare il braccio, teso a bloccare l’entrata di Dustin nel locale:
«La pistola, signore.» esclamò con un tono gentile che sembrava non ammettere repliche.
Lui lo guardò dal basso, annuì ed estrasse l’arma consegnandola al buttafuori.
Il locale dentro era caldo e sapeva di fumo, un alone blu e argento ammatava tutti gli oggetti e le persone immergendo la sala in un’ amtosfera onirica; tra le volute si distinguevano sagome di donne e di uomini, di tavoli e sedie, il tintinnare dei bicchieri si confondeva col brusìo dei clienti.
C’era una musica potente, emessa da un violoncello sul palco circolare al centro della stanza, un uomo, o forse un ragazzo, - Dustin non seppe riconoscerlo – suonava lo strumento con un arco metallico montato sul braccio sinistro.
E al centro del palco vide lei.
Indossava una lunga veste rossa arabescata stretta in vita che le arrivava sino i piedi, lasciando scoperte solo le spalle.
I lunghi capelli erano raccolti in una crocchia alta ed un solitario ciuffo a spirale del colore del miele, scendeva dal lato destro del suo viso; il lungo collo, affusolato e perfetto, era circondato da una collana di perle nere.
La voce calda e bassa serpeggiava tra i tavoli tagliando la nebbia di fumo, trasmessa da un microfono ad asta.
Dustin sedette ad un tavolo e poco dopo una ragazza venne a prendere l’ordinazione.
Ascoltò la canzone, la conosceva: Nostalgia. Parlava di una donna tradita che alla fine uccideva il suo amante nel momento dell’orgasmo con una sciarpa di seta nera. Quando la musica finì, il pubblico era troppo ubriaco per applaudire, ma il ragazzo e la donna si inchinarono ugualmente a ringraziare.

«Dustin!» esclamò lei sedendogli accanto.
«Ciao tesoro.» rispose lui appoggiando il bicchiere vuoto sul tavolo: «Non mi sembrano molto interessati questa sera, o sbaglio?».
La donna fece spallucce, come se non le importasse: «Tanto mi pagano ugualmente, per il resto possono anche addormentarsi.» sorrise.
Dustin provò quella piacevole sensazione che provava ogni volta che la vedeva sorridere a quel modo.
«Sei venuto per accompagnarmi a casa?»
«Porebbe essere, tu che dici?»
«Dico che sei talmente geloso all’idea che uno sconosciuto possa offrirmi un passaggio, che saresti disposto anche a portarmi in braccio, non è così tesoro?».
Lui non rispose, ma si limitò ad ordinare un altro drink, poi disse: «Tra quanto stacchi?»
«Altre quattro canzoni e sono libera. Mi pagano trenta dollari per una serata del genere, non male direi.»
«E’ più del doppio di quanto prenda io in una giornata. Dovrei mettermi un vestito rosso anche io e salire sul palco, magari così non avrei problemi ad arrivare alla fine del mese!».
Lei sorrise, scuotendo il capo: «Non ci entreresti mai un vestito del genere, Dustin. Ti lascio, vado a guadagnare i miei ricchi trenta dollari. Tu aspettami qui, ok?»
Lei si baciò l’indice e lo posò sulle labbra di lui, poi con un lieve gesto si aggiustò il vestito e risalì sul palco.
Attese che fosse tutto finito, appoggiato al bancone, sorseggiando un ennesimo drink ed una ennesima sigaretta, tutti i clienti erano andati via e già metà della sala era sgombra di tavoli e sedie, le ragazze passavano con la scopa; accanto il ragazzo con la protesi al bracccio. Appoggiato al bancone la custodia dello strumento, adesso aveva una mano e le dita di acciaio stringevano un bicchiere.
Guardava fisso davanti.
«Suoni bene, ragazzo. Quanti anni hai?» chiese Dustin guardandolo di riflesso nel grande specchio di fronte a loro.
«Ventidue!» esclamò lui in tono scocciato e aggiunse: «E me la cavo.».
“Tristezza e rancore” notò Dustin, ma chi non li prova di questi tempi? Dopo la Grande Guerra tutto era andato a rotoli, un’ultima accellerata prima del collasso, un balzo in avanti di civiltà e tecnologia che aveva portato ad uno scontro frontale con la distruzione.
E loro adesso pagavano le conseguenze di tutto questo.

La vide arrivare nello specchio, le appoggiò le braccia attorno alle spalle e sentì i seni di lei premergli contro, gli diede un bacio sulla guancia:
«Andiamo tesoro?» poi rivolgendosi al ragazzo: «Grazie ancora Jeremy, spero lavoreremo ancora insieme...»
«Sai dove trovarmi Sophie.» si limitò a dire lui.
Uscirono nella notte appena cominciata. Mancava un’ora al coprifuoco e le poche persone ancora presenti, sembravano prede braccate da invisibili predatori: furtivi e veloci sgattaiolavano nei portoni o su macchine che sparivano dierto un angolo un attimo dopo.
La neve continuava a cadere con più insistenza, silenziosa; il cielo, una indistinta volta di un nero chiaro e profondo.
L’uomo alla porta consegnò la pistola a Dustin e con la donna accanto attese che arrivasse un taxi, mentre l’aria si condensava in piccole neve che uscivano dal naso e dalla bocca di entrambi.

L’abitacolo era caldo e non puzzava come quello precedente, al volante una donna dai capelli corti ed una sigaretta che le pendeva dal lato destro della bocca, indossava dei guanti privi di dita e su ogni nocca un cuneo di metallo: “Anche una donna deve difendersi”, pensò lui.
Di fianco Sophie aveva acceso una sigaretta da un lungo bocchino in ebano, il tizzone rosso si illuminava ad ogni boccata.
Il fumo sembrava una nuvola dotata di vita propria, che si espandeva sino a dissolversi del tutto; Dustin notò che lei non aspirava, si limitava a tenere il fumo in bocca per pochi secondi e lo ributtava fuori poco dopo, tenendo una posa plastica, da modella.
«Winwood Avenue, 663» disse lui.
«Pensavo andassimo da me.»
«Ti sbagliavi» sorrise malizioso.
“E dobbiamo fare anche piano tesoro. La vecchia Ganowski è vigile come un falco da quando ha cominciato ad assumere quel fottuto Ez300!”
Il taxi sfrecciò tra le strade senza essere fermato e arrivò a destinazione nel giro di un quarto d’ora.

L’interruttore della luce, nel piccolo appartamento, si trovava sulla parete di destra nell’atrio appena varcata la soglia, Dustin l’accese, appendendo le chiavi al muro e si addentrò nella stanza successiva; si udì un click e la fioca luce di una lampada illuminò una sala più grande dell’entrata: un salotto occupava la maggior parte dello spazio, l’altra metà era invece occupata da un mobile a cassetti, con una radio in radica a fare bella mostra di sè.
Sophie si tolse il soprabito sedendosi composta sul bordo del divano, si accese un’altra sigaretta rimanendo in silenzio.
«Fa un po’ freddo qui, me ne rendo conto. Il riscaldamento è in comune con gli altri appartamenti, e viene acceso solo la mattina e la sera» Dustin si avvicinò con due bicchieri e ne porse uno a lei:
«Non è un’ ottima annata, ma è pur sempre whisky.»
Fecero tintinnare i bicchieri.
«Buon Natale, tesoro!» esclamò lei guardandolo negli occhi.
«Buon Natale!» rispose lui.
Bevvero.
Lui si alzò levandosi il cappotto e slacciandosi la fondina riponendola sul tavolo accanto al divano.
«Questo appartamento è davvero piccolo, quanto paghi di affitto, Dustin?»
Lui incrinò le labbra in un sorriso: «Non pago!»
Sophie inarcò un sopracciglio.
«Sono sotto sfratto, sarei dovuto andare via un mese fa. La mia padrona, la signora Ganowski, è una oppiomane e mi ha concesso una proroga solo perchè le fornisco quello di cui ha bisogno. Mi sembra uno scambio equo, no?»
«Perchè ti ha sfrattato se poi ti ha concesso di rimanere?»
Dustin allungò una mano e prese la bottiglia di whisky, ne versò ancora in entrambi i bicchieri, cominciava a sentire caldo e la testa più leggera, e le labbra più insensibili.
«Perchè portavo gente a casa. Lei detesta che ospiti qualcuno dopo il coprifuoco...»

TUMP
Un rumore alla porta. Un battito singolo e deciso.
“Ecco, ci siamo tutti!” «Sarà sicuramente la Ganowski. Perdio, mancava solo lei!»
TUMP
Il battito si ripetè, alla stessa maniera.
«Chi è?» chiese Dustin.
TUMP
«Forse entrando mi sarei dovuta togliere i tacchi, mi spiace Dustin.» si scusò lei.
Lui fece un cenno di diniego col capo e si avvicinò alla porta.
TUMP
«Arrivo, perdio!»
Dustin aprì appena l’uscio ed una figura gli balzò addosso atterrandolo.
Si muoveva freneticamente e a scatti producendo un lamento sordo e gutturale che le usciva dalla gola a fatica, come cercasse di respirare, ghermì Dustin con entrambe le mani.
Lui guardò la figura che lo sovrastava, riconobbe un volto deformato, due occhi grossi e sporgenti, folli e completamente assenti che fissavano la realtà senza capirla.
“Ganowski!”
Le mani scattando velocemente avevano raggiunto la gola e graffiavano, come alla ricerca di qualcosa; lui tentò di ribaltarla ma era troppo pesante, sentiva l’alito che sapeva di panna acida uscire dalla bocca colpirlo in faccia, erano talmente vicini che poteva vedere una vena nella tempia di lei pulsare ritmicamente.
Il suono continuava osceno, come quello di un assetato che cercasse ristoro e pace alle sue sofferenze.
Qualcosa di caldo e appiccicoso all’altezzza della gola “Sto sanguinando!” fu il suo primo pensiero. Cominciava a mancargli l’aria nei polmoni tanto la stretta era forte, cercò di urlare ma gli risultò impossibile.
Notò piccoli puntini luminosi ai lati degli occhi, tentò un ultimo disperato tentativo spingendo via le mani della donna con le sue ma erano tremendamente pesanti.
Gli sembrò di trovarsi in una giostra che stava per fermarsi.
“Si scende!” pensò in un ultimo istante...
BANG!
La Ganowski si accasciò come un brutto sacco puzzolente su di lui, lasciando finalmente la presa.
Dustin rimase fermo un attimo, cercando di riprendere fiato, si tastò la gola: era ferito, la donna gli aveva aperto un taglio nella gola.
Si tolse il cadavere di dosso, e il mondo riprese a girare e ad assumere colore.
Guardò dietro di sè.
Sophie era in piedi, ancora con la pistola in mano, gli ultimi fili di fumo che svanivano dalla canna,
impugnava l’arma con la destra, tutto il corpo teso in un spasmo diretto verso lo sparo.
Dustin si rialzò a fatica facendo leva sul gomito, Sophie lasciò cadere la pistola e si diresse verso di lui:
«Fammi vedere, Dustin. Cristo! Che aveva nelle mani, rasoi?»
«Ti prego, non toccare, fa male.» si lamentò lui.
«Dobbiamo disinfettare la ferita. Hai dell’alcol in casa?» gli chiese gurdandolo, lui non disse nulla: «A parte il whisky, intendo...»
«No.»
«Bene allora il wisky andrà benissimo!» sbottò lei.
«Sapevi di avere una maniaca come padrona?»
«Non si è mai comportata così...e poi i suoi occhi, il rantolo...Perdio! Non era normale, lo hai visto anche tu!»
«Hai detto che era oppiomane...»
«Un oppiommane non ti aggredisce sbavando cercando di azzannarti alla gola.»

E come una folata di vento gelido il pensiero avuto nel taxi lo investì nuovamente, improvviso.
...
Fuori dalla porta cominciavano ad arrivare gli echi dei condomini fuori dalle porte che si chiedevano cosa fosse accaduto.
«Raccogli le tue cose, ce ne andiamo!» ordinò lui.
«Andare? Ma sei impazzito? C’è il coprifuoco! Non riusciremo a fare nemmeno un isolato.»
Sophie gli porse un fazzoletto intriso di alcol che lui mise sulla ferita: sentì una cascata di fiamme fredde e dolorose come ghiaccio che gli avvampavano la gola. Strinse i denti soffocando qualcosa su Dio e la Sua somiglianza con un maiale.
«Non possiamo rimanere qui! O le strade o la polizia militare!» sibilò lui.
Nella notte giunse il suono lontano di un violino meccanico, Nostalgia.
Aggiunse con un tono più rassicurante: «Fidati. Conosco altre vie...»