
Perdonate il mostruoso ritardo, ma non ho avuto tempo e modo di farmi vivo. Ecco una nuova puntata. Buona lettura!
Danzando sull’orlo del Nero
Nella penombra della stanza la ragazza nuda e singhiozzante, sentiva ancora con chiarezza i capezzoli pulsare là dove l’uomo l’aveva morsa e graffiata. Anche i polsi, che portavano il segno delle dita di lui, arrossati gli dolevano malamente, così come l’ano, per la brutalità con cui quella sera era stata presa.
Il liquido seminale colava tra il solco delle natiche direttamente sulle lenzuola, lei si mordeva il lembo di pelle della mano tra pollice e indice.
«E’ ora che tu vada!» le disse Nathan, seduto accanto sul bordo del letto, la voce calda e calma non si scompose né risultò minacciosa. «Smetti di piangere ora e rivestiti.» si mise in piedi, nudo, avvicinandosi al lavandino in fondo alla camera, si lavò il pene con un getto d’acqua fredda, c’era un velo si sangue sul prepuzio smaltato che scivolò via quasi subito.
Scarna, la stanza non aveva nulla che non fosse indispensabile: un letto in ferro, un comodino ed un armadio in compensato, ed un piccolo specchio con un lavandino.
Una finestra sudicia lasciava entrare una luce verde al neon, dando l’impressione di un ambiente malato e malsano.
Con lentezza e tra le lacrime, la ragazza cominciò a ricomporsi.
“Da come si muove devo averle fatto male…poco importa, le passerà!”
Nel riflesso opaco dello specchio, la figura rivestita si fermò a guadarlo, poi col capo chino uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle. Nathan la sentì scendere le scale ad una ad una, poi ritornò a guardarsi allo specchio: il taglio sull’arcata ciliare sinistra, dove la ragazza aveva cercato di ferirlo, non era profondo, sanguinava poco, ci passò sopra un batuffolo di cotone imbevuto col disinfettante, il dolore che percepì fu infimo, nullo.
Quando concluse, prese due scatole metalliche cilindrica dalla borsa e ritornò davanti lo specchio.
Con gesti rituali, si tolse l’occhio sinistro staccandone i sottili cavi che lo tenevano attaccato e lo ripose in una delle scatole, rimase a guardarsi con la cavità oculare vuota dove i cavi spuntavano e sorrise narcisisticamente; prese un altro occhio dall’altra scatola e con gli stessi lenti e precisi movimenti riattaccò i cavi e lo indossò, poi fece altrettanto con l’altro.
Tornò a guardarsi compiaciuto: le iridi dalla forma ellittica avevano un colore viola, mentre le pupille erano minuscoli un puntini gialli.
Qualcuno bussò alla porta distogliendolo dalla sua immagine.
«Si?»
«Magister aspettiamo voi. I fratelli legionari sono pronti.» disse una voce.
«Bene!» esclamò Nathan.
Si rivestì in fretta, poi prese una dalmatica nera, svasata nella parte inferiore, che fece scivolare sul capo a coprirlo del tutto, quasi nell’esatto momento in cui la porta si aprì facendo entrare un uomo del seguito.
Nella stanza dall’incenso giallastro un brusio sommesso e continuo serpeggiava di angolo in angolo: un grosso gruppo di persone con una tonaca scura aspettava impaziente. C’era poca luce, fredda e smorta, emanata da rare lampadine di una coppia di lampadari che pendevano dal soffitto a chiazze ammuffito.
Le finestre alle pareti erano state oscurate da drappi scuri che arrivavano sino al pavimento, su ognuna di esse erano stati cuciti vari simboli..
Quando Nathan entrò, il brusio cominciò lentamente a diradarsi e tutti si voltarono verso di lui. Prima che prendesse la parola un coro di applausi si levò dagli astanti.
“Sono tutte mie creazioni!” osservò compiaciuto “Eppure sono pochi, troppo pochi per tentare qualcosa!”.
Alzò una mano e tacquero.
«Legionari! Fratelli Micaeliti» cominciò con voce ferma. «Vedervi qui è un grande regalo ed una immensa soddisfazione. Giorno dopo giorno, battaglia dopo battaglia diventiamo sempre più numerosi, e sempre più indisposti verso questo sistema debole e permissivo, che ci reclude come lebbrosi, accogliendo tra le sue fila donne, pederasti, immigrati, tutti deviati il cui rispetto verso questo nostro paese e le sue tradizioni, è simile a quello dei cani…»
Una seconda ondata di applausi cominciò a levarsi, ma Nathan la stroncò con un singolo gesto.
«Siamo noi i padroni di questa terra! Noi i soli detentori della patria, non una bestia incapace di pronunciare parole senza sbavare o incespicare nella propria lingua…io mi rifiuto di appartenere ad un paese che volta le spalle ai propri figli per accogliere dei bastardi!»
«Facciamoli fuori! Uccidiamoli tutti!» urlò qualcuno e subito gli altri li fecero eco.
Nathan sorrise amorevolmente come un padre.
«Capisco la vostra rabbia. Ma non è questo il momento. Verrà il tempo in cui ognuno di voi avrà una propria parte da interpretare. Ora il nostro compito è un altro: ci troviamo ad una svolta, un cambiamento che ci renderà tutti degli eroi!
«La società come noi la conosciamo sta per cadere e noi saremo pronti a raccogliere i resti e a modellarne una nuova, migliore e giusta, fondata sul merito, la forza, l’orgoglio!»
Questa volta l’applauso e il boato andarono avanti per una decina di secondi e Nathan assaporò tutta la gloria del momento incrociando le braccia e sorridendo, mentre i suoi occhi andavano da un capo all’altro della stanza, qualcuno gridava il suo nome, qualcun altro invocava un linciaggio…
«Il segretario di Harry Wings chiedeva se potevate incontrarvi dopo la cerimonia.» gli disse l’uomo accanto sbirciando da un taccuino.
Nathan lo guardò con gli occhi socchiusi dal piacere: una giovane ragazza gli massaggiava le spalle:
«Il segretario di Harry Wings? Ha un nome o dovrò chiamarlo così per tutto il tempo?»
«Forge, Magister. Il suo nome è Forge.»
«Che cosa vuole Harry Wings?»
«Non lo so Magister, ma credo sia opportuno ascoltarlo, Wings potrebbe…»
«So chi è Wings, Alfiere. Ora andate, e fai entrare questo Forge!»
L’uomo annuì ed uscì portandosi dietro la ragazza.
Solo, Nathan prese una bottiglia versandosi del liquido chiaro in un bicchiere e cominciò a bere: “Cosa vorrà questa volta? Un altro favore, immagino…”
Pochi minuti dopo un uomo sui trenta anni, che sembrava uscito dalle pagine di una rivista di moda, fece il suo ingresso nella stanza, un completo chiaro con cravatta intonata, privo di barba, capelli impomatati ed un sorriso da squalo senza denti.
«Magister…» salutò Forge.
«Sono Simmeons, Forge. Magister è un titolo per i legionari.» “Stupido leccapiedi!”
«Come volete. Posso accomodarmi?»
Nathan annuì.
«Il signor Wings vi manda i suoi saluti e vi augura un Buon Natale.»
«Cosa vuole Wings?» chiese Nathan.
Forge allargò il sorriso e si aggiustò gli occhiali in corno sul naso. «Il signor Wings è molto interessato alle vicende della Legione Nera, si potrebbe quasi dire che è un vostro ammiratore. Apprezza quello che fate e come lo fate e sarebbe disposto ad appoggiare la vostra causa.»
«In che maniera?»
Forge si passò la lingua sulle labbra deliziato: «Oh di questo certamente sarebbe meglio che ne parli direttamente con lui. Il signor Wings mi manda a dire che sarebbe lieto di averla dopo cena per un drink nella sua casa.»
«Che cosa vuole?» ripeté Nathan.
«Sono qui in veste di ambasciatore, signor Simmeons, nient’altro. Se accetterete, un auto vi scorterà direttamente a casa sua, diciamo…» guardò l’orologio da taschino. «Intorno alle nove…»
Nathan buttò giù l’ultimo sorso dal bicchiere: «Alfiere!» chiamò poi.
Entrò l’uomo del taccuino.
«Congeda i Legionari, ordina loro di non fare assolutamente nulla, hanno la serata libera. Io avrò da fare qualcosa.»
«Bene Magister!» rispose l’Alfiere e uscì.
«Molto bene signor Simmeons, vi manderò a prendere alle nove.» raggiante, Forge si alzò tendendo la mano a Nathan.
Per tutto il tragitto l’autista non aprì bocca.
Scaricato Nathan davanti l’ingresso della casa, ripartì scomparendo oltre il giardino, lasciandolo solo sulla ghiaia del parco.
Si alzò il bavero di pelliccia del cappotto e si guardò intorno: il recinto si trovava a circa cinquanta metri, i miliziani armati ne percorrevano il perimetro sugli spalti, sentì aprirsi la porta e Forge che sfregandosi le mani per il freddo gli sorrise:
«Ben arrivato signor Simmeons. Prego mi segua.»
Nathan lo seguì.
La casa era riscaldata e tutte le luci erano accese, nel grande salone bianco un grande albero di Natale ne occupava il centro, alle spalle due rampe di scale si inerpicavano ai lati opposti, verso il piano superiore.
«Prego. Da questa parte.»
Forge lo condusse oltre un corridoio verso una porta chiusa.
Harry Wings era in piedi e guardava fuori la finestra, dando le spalle alla porta.
«Signor Wings?»
«Grazie Forge. Lasciaci soli, grazie.» si voltò e sorrise a Nathan fermo sulla porta: «Prego, Signor Simmeons, entri pure. Sono contento che abbia accettato il mio invito, si serva pure, ho del whisky, vodka, gin, vino…sigari…non mi faccio mancare niente.» la voce possente dell’uomo sembrava amplificata dal ventre muscoloso e dal petto largo.
Nathan prese un bicchiere da un tavolino con le ruote e si versò del whisky nel bicchiere, poi fissò Wings.
«Cosa vuole da me Wings? Non si invita a casa gente come me solo per offrirgli da bere…»
«Noto con piacere che è un uomo pragmatico, Simmeons. Questo non fa che avvalorare la mia stima nei suoi confronti!»
«Finiamola con i complimenti e venga al dunque. Sono stanco e non posso rimanere a fare baldoria con lei…» scocciato incrociò le braccia, tamburellando con le dita sul bicchiere.
Wings ravvivò con un tizzone il fuoco nel camino di marmo, poi si servì la stessa bevanda in un altro bicchiere, gli occhi grigi scintillavano al fuoco come quelli di un predatore, il naso a becco gli dava poi un aspetto rapace e la folta barba rossiccia lo faceva sembrare un guerriero norreno.
«Ho bisogno della vostra Legione Nera!» esclamò dopo aver giocato con il whisky da una guancia all’altra: «Tutti voi, compreso lei chiaramente.»
«Cosa significa che ha bisogno della Legione Nera? Non siamo mercenari e non lavoriamo su commissione!» rispose livido Nathan.
«Certo che non lo siete. Ed io non vi sto chiedendo di diventarlo…»
«E allora?»
«Simmeons la vostra congrega è fuori legge da più di venti anni, anche se avete cambiato nome sappiamo benissimo che gli scopi sono sempre gli stessi!» il tono era diventato lievemente più minaccioso. «La vostra crociata potrebbe ben presto finire in un carcere o peggio ancora in un bagno di sangue, basterebbe poco perché questo accada!»
«Credo sia una minaccia, o sbaglio?»
«Dipende da come la vuole interpretare. Io non l’ho fatta chiamare per minacciarla o ricattarla. La vostra associazione può rivelarsi molto utile, specie in tempi come questi. Ho bisogno di persone come voi e voi avete bisogno di uno come me che non faccia prediche e che al contrario vi sostenga e vi protegga.»
«Proteggerci da cosa?»
«Dalla moda dei diritti civili che in questo periodo imperversa sulla città. No so se ne ha sentito parlare: non siete l’unica confraternita esistente, ce ne sono altre: i Sol Invictus ad esempio, o i Gratia Dei fanatici religiosi con il pallino dell’uguaglianza e della tolleranza…»
«Siamo diversi.»
«Certamente, loro lo sanno perfettamente ed è per questo che meditano di sterminarvi tutti alla prima buona occasione!»
«No Grazie. Signor Wings, comincio ad essere stanco e gradirei tornare a casa, perciò se vogliamo arrivare al dunque…»
«Stanco? Credevo che una persona impegnata come lei facesse uso di Ez300 per rimanere attivo…» si accese il sigaro mandando argentate spirali di fumo nell’aria.
«Non uso quella roba, preferisco dormire…»
«Male. Ritengo che uomini come me e lei non dovrebbero dormire mai…Comunque signor Simmeons, la proposta è piuttosto semplice: vi arruolo come miliziani della città, per riportare un po’ di ordine e di paura tra le strade…»
«Esistono i miliziani per questo, perché noi?»
«I miliziani non possono uccidere, solo imprigionare e al giorno d’oggi le carceri sono così colme che l’unica speranza per poterle sgonfiare è una guerra…la gente non ha più paura, ha ripreso ad andare in giro impunemente, la corruzione serpeggia tra i militari, così come nelle alte sfere dell’esecutivo…»
«Noi quindi saremo dei vigilanti…delle guardie cittadine…» Nathan cominciava a divertirsi: l’impomatato politico
«Non vigilanti, signor Simmeons, ma legge!
«La sua offerta è molto allettante, me temo che dovrò rifiutare.» disse lui in tutta tranquillità.
Wings smise di ridere e sembrò quasi che il fumo del sigaro li fosse andato di traverso strozzandolo:
«Perché mai?»
«Lo ha detto prima: nessuno se la prenderà se ci scapperà il morto…crede davvero che siamo dei pazzi assassini?»
«Oh certo che no signor Simmeons…»
Nathan si alzò lentamente e sospirando.
«Credo che sia arrivato il momento che vada.»
Wings sorpreso scattò in piedi.
«Signor Wings mi duole che abbia fatto questa offerta. Noi non siamo quello che crede…»
«Simmeons, intende davvero rifiutare?»
«Sì!» si infilò il cappotto cominciando a dirigersi verso la porta.
«Lei sta sprecando una opportunità, quanto crede che riuscirà a sopravvivere senza un appoggio politico?» ribatté irato.
Nathan non rispose, uscì che ancora Wings gli urlava di fermarsi.
Fuori il solito autista lo aspettava appoggiato alla vettura in silenzio. L’uomo aprì la portiera, fece salire Nathan e si mise al posto di guida, dopodichè partirono, lasciandosi la casa alle spalle.
L’auto ripartì rumorosamente, le ombre nelle strade aprendosi come braccia nere la accolsero chiudendosi subito dietro di lei scomparendo alla vista.