Saturday, February 17, 2007


Salve a tutti. Ecco un nuovo racconto, anche questo come i due precedenti possono essere letti singoli o uno dietro l'altro.
Buona lettura.

Di Assenzio e di altre Illusioni

Avevano corso per buona parte della notte.
Aggirando truppe di miliziani che pattugliavano le strade come mastini, in posti di blocco con fuochi da campo disposti nei vari punti ed incroci, e superando recinzioni con filo spinato.
Quando furono ad un isolato di distanza dall’appartamento le sirene della polizia cominciarono a farsi più vicine.
Nella fredda notte, la mente della donna incrociava mille pensieri: canzoni e filastrocche natalizie eseguite da cori di voci bianche, si ritrovò ad adattare la musica al veloce passo che lei e Dustin avevano intrapreso.
«Perché non siamo rimasti lì? Avremmo potuto spiegare tutto alla polizia, di come quella donna, la Ganowski, ci ha aggrediti e di come noi ci siamo difesi. Torniamo Dustin, e li racconteremo tutto, ho sparato io, no?»
«Hai dimenticato che lì ero sotto sfratto e fornivo oppio alla vittima, tutti ottimi motivi per mandarmi al cappio in poco tempo.»
«Hai ragione.»

Aveva ripreso a nevicare da circa un’ora. Più o meno da quando avevano lasciato l’appartamento. Le luci colorate erano state spente, così come molti dei lampioni, rimanevano solo piccole isole di luce, da cui loro due si tenevano a distanza.
«Da questa parte.» disse lui.
Svoltarono in un vicolo deserto come il resto delle altre strade, fermandosi un attimo per poi riprendere a camminare furtivamente tra una zona d’ombra e l’altra e ritrovarsi in un ennesimo vicolo, “Ma quanti sono?”.
Sorpresa e confusa, Sophie cercava di tenere il passo, cosa quasi impossibile con le scarpe coi tacchi, scomodi e rumorosi, affondavano a volte nella neve rischiando di farla inciampare.
«Ti prego Dustin, rallentiamo, non ce la faccio più!»
«Siamo quasi arrivati.»
«Dove stiamo andando?»
«Da un amico.»

Pulsate et apriebatur vobis

Questo era scritto sullo stipite della grossa porta rinforzata, scolpito nella pietra gialle del piccolo edificio.
La casa si trovava fuori dal centro abitato, circondato su tutti e quattro i lati da un ampio e ombroso giardino dalle siepi a forma di coni, piramidi e sfere, curate con una precisione maniacale, attenta alle imperfezioni che potevano crearsi.
Sophie ammirò le composizioni che la sovrastavano, con timore e riverenza, stringendosi nel cappotto scuro, seguì Dustin fermo dinanzi alla porta
«Cosa significa?»
«E’ latino, o italiano forse. Non è importante comunque.
Afferrò uno dei batocchi e bussò tre colpi decisi.
DUUMM
DUUMM
DUUMM…

Quando il rimbombare dei colpi cessò, si udì un ronzio metallico oltre la porta.
CLACK!
E lo spiraglio nero apparve dinanzi a loro, una fessura nel buio.
«Piuttosto scenico, no?» disse lui ed entrò.
Sophie guardò attorno le siepi che immobili parevano scrutare ogni sua mossa, cadde un po’ della neve che le ricopriva, e rabbrividendo seguì Dustin.

«Vieni piccola mia. Qui, vicino a me!»
Come tutte le altre volte l’uomo sedeva nell’ombra, con la finestra sbarrata alle spalle, l’unica luce quella della porta da cui entrava, poi ritornava il buio, così vivo, così palpabile, così freddo…

Una volta dentro rabbrividì.
Non sembrava fare freddo, ma l’oscurità attorno era sufficiente a farle sentire un gelo mortale, il suo respiro divenne affannoso e il cuore cominciò ad accelerare.
Allungò una mano alla ricerca di quella di Dustin, ma non trovò nulla, solo il vuoto.
«…Dustin…?»
«Sono qui dolcezza.» la rassicurò lui.
«Non si vede nulla.»
«Non abbiate paura.» fece eco una voce nel buio.
Le luci si accesero, prima su di loro, poi tutto d’intorno.
Erano all’entrata di una grande sala affrescata, colonne bianche alle pareti contrastavano con il rosso vivo e lucido del pavimento.
E proprio di fronte a loro una scala in ferro dalla ringhiera arabescata saliva verso l’alto, in cima un uomo.
Sophie non seppe dire se era più bizzarro o semplicemente fuori posto.
Era grasso, questo notò subito lei.
Indossava una giacca da camera blu dai motivi floreali, collo di pelliccia dello stesso colore, e un panama bianco messo di traverso sul capo; nella mano un bocchino bianco con una lunga e sottile sigaretta.
«Non sono grasso, signorina Sophie!» puntualizzò l’uomo scendendo i gradini lentamente, incorniciato da volute di fumo.
La sua voce nasale ma morbida: «E’ una grave disfunzione della tiroide.» ribadì sorridente in modo lezioso.
Lei non disse nulla ma guardò Dustin con gli occhi sgranati.
«Buonasera Dustin. O sarebbe meglio dire buon mattino, dato che sono esattamente le due del mattino. Cosa è accaduto questa volta?»
«Ci troviamo…» cominciò lui.
«Nei guai.» sospirò. «Sì, lo avevo capito da solo, tesoro mio. Non mi presenti la tua amica?»
Dustin si irrigidì arrossendo: «Bè, sì…Sophie lui è…»
«Barone Absinth. Molto piacere, Sophie.» intervenne l’uomo prendendole la mano, fece un lieve inchino, la pelle liscia e lucida aveva un vago odore di mandorle, un grosso paio di occhiali da sole blu li copriva gli occhi a mo’ di maschera.
«Immagino che davanti un drink vi sentirete meglio e riuscirete a delucidarmi. La notte è fredda, anche se volge al termine, ma noi non abbiamo fretta, no?»
«Barone sarebbe meglio se la signorina Sophie si riposi, è stata una lunga notte …»
«Ritengo che Sophie sia sufficientemente matura e responsabile da riuscire a prendere una decisione anche senza il tuo indebito aiuto, Dustin.»
«No.» rispose risoluta lei. «Credo che Dustin abbia ragione, barone. Sono molto stanca e vi sarei grata se potessi ritirarmi….col vostro permesso.»
Absinth sorrise scoprendo una dentatura bianca, perfetta, che lei si accorse essere porcellana.
«In questo caso, mia cara, vi accompagnerò io stesso!»

Sola nella stanza, Sophie si soffermò a guardarsi nel grande specchio ovale, con indosso una camicia notte che le arrivava sino alle caviglie, ricamata con i soliti motivi floreali.
Alla parete un applique di vetro istoriato dalla forma di farfalla, mandava luci calde di colore giallo, rosso e verde, confortevole ed accogliente come una cioccolata calda.
“Mandorle. Ancora quell’ odore…o forse anice…”
Fuori il buio continuava a sorvegliare l’edificio, che dall’interno sembrava molto più grande di come più grande da come le era apparso da fuori.
Sedette sul bordo del letto, carezzandone la superficie delicatamente, con gli occhi chiusi ed un sorriso leggero sulle labbra, la mano corse avanti e indietro, con una delicatezza infinita, le coperte erano morbide e profumavano e come tutte le cose soffici provocarono in Sophie un genuino innamoramento temporaneo, un piccolo orgasmo di sensi che la sconvolgeva sul momento e le dava la forza per andare avanti.
C’era silenzio.
Lontani come in un sogno sentiva le voci del barone e Dustin che parlavano, ma non riusciva a capire le parole, giungevano come echi sottili, alla stregua di ricordi che affiorano dalla mente.
Improvvisamente la tensione si sciolse, la stanchezza della giornata passata la travolse completamente, braccia e gambe si fecero pesanti; smise di toccare il letto, si sdraiò supina, soddisfatta e del tutto rilassata.

Quell’uomo è strano, ha qualcosa di teatrale e inquietante. Non può avermi davvero letto in testa. Questa casa poi, sembra costruito tutto alla perfezione, mobili suppellettili…carina la lampada a farfalla, deve avere molti soldi per permettersi una bizzarria dietro l’altra, come avrà conosciuto Dustin? Absinth! Assenzio…strano nome, forse uno pseudonimo, oppure…”

Non ricordava di aver sognato, solo di aver dormito pesantemente.
Le faceva male la testa e aveva la bocca impastata di un vago sapore dolciastro. Si sentiva come fosse sbronza.
Cercò di mettersi a sedere, la luce, che chiara e limpida filtrava dalla finestra, le fece richiudere istantaneamente gli occhi, le tende erano tirate ed un fascio illuminava la stanza in obliquo, la lampada alla parete spenta.
Si vestì dando le spalle alla finestra, il vestito della sera prima le riportò alla mente la Ganowski che annaspava su Dustin, il verso orribile che usciva dalla gola e lo sparo…rabbrividì “Ho ucciso! Non era mai successo…” guardò le mani con colpevolezza, poi bussarono alla porta.
«Sophie, sono io. Scendi, il barone ci vuole a colazione» la voce di Dustin la distolse dai rimorsi.


La sala dove Absinth li attendeva dava sul giardino, una parete a vetri mostrava altre siepi e alberi rigogliosi, tutto ammantato di neve una luce di un sole che non c’era brillava colorando la stanza.
Lui sedeva a capo tavola in una poltrona in vimini verde, il solito panama sulla testa di lato, gli occhiali ed un completo di lana color caffé dalle striature bianche, nel complesso, dava l’impressione di un grosso cappuccino.
«Ben arrivati miei cari!» esordì lui col sorriso piacente di un gaio mecenate. «Spero abbiate passato una buona notte.» poi si rivolse a Sophie:« Mi duole, signorina Sophie che non si sia potuta cambiare d’abito, ma ahimé non ho in casa abiti femminili, ma siete molto graziosa anche così. Sedete, sedete pure!
«Innanzitutto vi auguro un buon Natale. Data l’occasione ho pensato di farvi un piccolo regalo…George!» chiamò verso una porta dalla parte opposta.
Entrò un uomo sulla cinquantina, con un scuro e camicia bianca che portava una borsa nera, la consegnò al barone e si inchinò mettendosi di fianco.

George, signori, è il mio tuttofare, e mi assiste da più di trentanni. Questo vi lascia immaginare l’età che potrei avere io, ma non faremo parola a nessuno.» rise scuotendo leggermente le spalle e portandosi una mano davanti la bocca.
“Una signora dell’alta borghesia!” visualizzò lei sovrapponendo le due immagini nella mente.
«La ringrazio per il complimento, Sophie!» esclamò lui.
Lei arrossì.
«George questa notte è tornato a casa tua, Dustin, eludendo le patetiche ronde notturne che vagano per le strade durante questo inutile coprifuoco…» fece una smorfia di disapprovazione.
«Casa mia?» lui sobbalzò sulla sedia.
Absinth mugolò un assenso compiaciuto, odorando un piccolo stelo di artemisia appuntato sull’occhiello.
«Chiaramente la polizia era già andata via, portando con sé molta della tua roba, George ha preso quello che poteva…» la porse a Dustin che l’aprì.
Un paio di pantaloni e delle camicie, assieme ad una bottiglia di scotch e qualche pacchetto di sigarette.
«Per lei signorina Sophie, dato che non conoscevo il suo indirizzo, ho optato per dei vestiti e delle scarpe di mio gusto, che spero le piaceranno…»
George nel frattempo aveva portato sulla tavola delle torte salate ed una zuppiera con della purea, più una quantità di piattini con salsine di vario colore.
«Vi starete chiedendo perché…Dustin non potrai più tornare a casa, spero te ne renderai conto. Uccidere la tua padrona di casa è molto romantico, te lo concedo, però poteva andare bene per un secolo fa, le giurie ti avrebbero condannato al minimo, forse saresti stato anche un eroe. Ma nel mondo in cui viviamo non va bene.
La polizia probabilmente è già sulle tue tracce, sei un assassino a piede libero, e se venissi catturato la tua unica via di fuga sarebbe su un patibolo e con una corda attorno al collo.»
«Ma non l’ha ucciso lui!» protestò lei vivamente.
«Non importa chi ha tirato il grilletto!» rispose il barone. «La stessa sorte, duole ammetterlo, spetterà anche a lei!»
«Come fa a sapere della pistola? Lei.. lei legge nel pensiero? È da ieri notte, lo ha fatto anche questa mattina! Come? Non può, non deve, lei…»sembrava sul punto di una crisi isterica.
«Non leggo nella mente, signorina Sophie! Percepisco emozioni e sensazioni, se proprio le interessa. Conosco la dinamica dei fatti perché me li ha raccontati Dustin quando lei è andata a letto; ma non è questo il punto. Siete complici, e non potete rimanere a lungo in città, la clandestinità è limitativa e alla lunga si risolve sempre con la cattura.
«Nel vostro caso con la cattura di entrambi. So per certo che lei Sophie ama Dustin e non lo abbandonerà al suo destino, per quanto turpe esso possa essere.»
Sophie scoppiò in lacrime, coprendosi il volto con le mani.
Dustin andò da lei abbracciandola.
Il corpo di lui bastò a riscaldarla e farla sentire protetta.
«Ma dove andremo?» chiese lui.
«New Jerusalem!» esclamò Absinth.
Sophie ebbe un sussulto.
«New Jerusalem?»
«E’ quello che ho detto, Dustin!»
«Moriremo!»
«Morirete comunque se rimarrete qui. E potreste morire anche solo avvicinandovi alle cancellate esterne, ma le sorveglianze sono più attente che non entri nessuno dai cancelli, più che a quello che esce…»
«New Jerusalem non esiste nemmeno, ci aspetta il deserto e la morte. Non potete lasciarci andare così, dite di essere amico di Dustin, ma la vostra supponenza e arroganza mi fa pensare il contrario! Come potete fare una cosa simile? Tanto vale consegnarci alla polizia! Se magari non l’avete già chiamata.»
«New Jerusalem esiste per certo, lo so. Quanto alla mia amicizia con Dustin, signorina Sophie, è molto più vecchia della vostra tresca e spero sia viva e forte quanto la stessa amicizia che ho con lui. Vi farò arrivare a New Jerusalem sani e salvi, ve lo prometto, e una volta lì non morirete, a meno che non siate voi a sceglierlo, in quel caso bè cari miei, io non ci potrò fare molto, non vi pare?» bevve un sorso di bianco da un calice lì vicino.
«Quando partiremo?» domandò Dustin.
«Tranquillizzatevi miei cari, non ho intenzione di cacciarvi di casa, quando vi sarete ripresi e sistemati e soprattutto quando vi sentirete pronti allora vi accompagneremo…»
«Vi?» chiese Sophie.
«Io e George, che domande…»

2 Comments:

Anonymous Anonymous said...

letto,
mi piace l'atmosfera, il personaggio di Absinth è affascinante, un bell'affresco. Continua cosi', sempre ottimi esercizi.
Vi salutiamo...

Pinuz.

12:52 AM  
Blogger daniel said...

Questa storia si fa sempre più complicata....MI PIACE!!!

9:16 PM  

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