Thursday, February 08, 2007


Salute a tutti
sono tornato col nuovo pc, pronto ancora a farvi compagnia o a rompervi le scatole, a seconda dei punti di vista.
Vi propongo un altro racconto che può essere letto in due modi: o la continuazione ideale di Nostalgia, o un racconto a sè.
Comunque ogni settimana troverete un nuovo racconto, non saranno un granchè, lo ammetto, ma me ne frego dato che sono solo "semplici esercizi di stile"
Alla prossima

Il Prete Cinico:

«...Ci si è mai chiesti che cosa ne sarebbe stato di tutto questo? Guardando attorno quanto è rimasto, mi chiedo se quelli là si sono mai domandati dove li avrebbero condotti le loro azioni, guidate sino all’eccesso dalla smania, non tanto di possedere un proprio spazio vitale sufficiente a sopravvivere; ma dalla sacrosanta necessità di difendersi da ipotetci attacchi vicini.
«Fu un escalation di azioni preventive volte ad evitare qualunque tipo di offesa: dapprima la situazione fu concentrata in un solo punto, si trattò di scaramucce insignificanti a cui nessuno diede peso più del dovuto, daltronde era sempre stata una zona calda e la gente questo lo sapeva, episodi del genere erano ormai all’ordine del giorno. Poi poco a poco, come una epidemia, si sparse dappertutto, e le zone calde si moltiplicarono, divennero sempre più numerose, e i cosidetti potenti resosi conto che la situazione cominciava a sfuggire di mano corsero ai ripari; si riunirono pre una decisione, discussero per intere giornate come mai avevano fatto prima, mentre bombe cadevano un po’ dappertutto e scene di guerriglia cominciavano a diventare quotidianità.»
L’uomo si passò la lingua sulle labbra, fece un attimo di pausa e poi ricominciò:
«Una corsa accellerata contro l’autodistruzione. Ne siamo consci, lo siamo sempre stati, ma abbiamo fatto finta di niente, e ci siamo detti: “Perchè preoccuparci?” oppure: “C’è chi si preoccupa per noi, perchè dovremmo pensare?” Ed ora siamo in questo stato. I miei complimenti a tutti voi!»
Di fronte a lui in basso una piccola folla di persone ascoltava le sue parole, si trattava di gente comune che forse si era ritrovata di fronte a quel prete assiso su una cassa di legno quasi per caso.
Alcuni borbottavano, altri annuivano impercettibilmente, altri invece voltavano le spalle e continuavano per la propria strada.
«Molti di voi...» continuò il prete: «Si dannano, si disperano, credendo di essere il centro del mondo, sento dire in giro tra pianti e lamenti: “Perchè Dio ci ha fatto queso? Perchè ci ha abbandonati? allora vi dico: aprite gli occhi! Guardatevi intorno! Non è Dio ad aver fatto questo, non è Dio ad avervi abbandonato...siete voi i colpevoli! Tutto lo schifo che ci circonda è solo merito vostro, siete voi stessi che dovete biasimare: ognuno è responsabile dele proprie azioni solo di fronte a se stesso! Dare la colpa a Dio è solo un modo per rifuggire dalle vostre responsabilità, ma nel profondo del vostro cuore, sapete perfettamente che la colpa è solo vostra!»
Il prete notò che la maggior parte delle persone erano andate via, rimanevano solo pochi disperati che continuavano ad ascoltare ed il suo seguito a circondarlo intorno alla cassa di legno; fece un sospiro di rassegnazione poi concluse:
«Bene figlioli, è giunto il momento di concludere questa inutile omelia, auguro a tutti voi un buon Natale!» poi aggiunse: «Sperando sia buono!» e scese dalla cassa.
Una volta a terra fu Edina che gli si avvicinò per prima, il lungo cappotto rosso stretto in vita, il cappello a cloche le ricopriva fino alle orecchie, i due occhi scuri lo guardarono con una tristezza bonaria, gli porse il cappello e il bastone nero:
«Mi spiace Daniel...»
«E di cosa? Io li ho avvisati! Poi se si dannano non sono mica fatti miei!» sorrise con la sua bocca larga.
La cinse con la vita e si allontanarono dalla piccola piazza nel parco.
Uno del seguito gli si avvicinò, un ragazzo sulla trentina più basso di lui, rasato ed un pizzeto sottile, si accese una sigaretta, aveva tratti orientali e sopra gli zigomi quattro minuscole capsule di inchiostro nero di forma circolare:
«Non so se hai notato i militari che sono passati. Sigaretta?» porgendogli il pacchetto.
Daniel ne prese una accendendola con un cerino, annuì.
«E tu hai visto i tipi fermi agli angoli?» chiese Edina guardandolo.
«Già.» ammise: «Legionari, direi. Credo che Simmeons sia in città. Tranquilli signori miei, ho mandato Lucky!» rispose come se fosse la cosa più ovvia di questo mondo.
«Lucky?» trasalì lei: «Sei impazzito? È un ragazzo, se quelli sono davvero Legionari...»
«Potrebbe morire, lo so.» concluse lui.
Nel frattempo i tre erano sbucati da un vicolo adiacente alla piazza, due auto verde scuro li attendevano, entrarono nella seconda e solo dopo che le portiere furono chiuse, gli altri tre del seguito entrarono nella pima.
«Edina...» disse Daniel con tutta calma: «Lucky sa cavarsela, e poi non credo che Mazim lo abbia mandato a parlarci...»
«Sono pur sempre Legionari.» affermò guardando dal finestrino alla sua destra.
«Mazim, dove gli hai detto di raggiungerci?» Daniel giocava con l’impugnatura del suo bastone, una palla da biliardo in argento col numero otto cesellato, come faceva spesso.
«Giù da Zoe. Gli ho detto di aspettarci lì...»

L’auto, guidata da Mazim, proseguì lungo una strada a doppia corsia, era molta la gente in giro quella mattina, la maggior parte di loro a piedi, i portoni delle chiese erano spalancate e fuori gruppi di persone si scambiavano reciprocamente gli auguri.
«Un po’ mi intristisce questo giorno.» disse Edina con lo sguardo verso di loro: «Insomma, quando ero bambina il Natale era splendido, lo aspettavo con asia, la mattina si andava a messa, poi al ritorno ci si scambiavano i regali, ed eravamo tutti insieme a casa dei nonni. Ammetto che mi manca...»
«Tesoro, sai perfettamente che il Natale non esiste.» tagliò corto Daniel.
Lei gli schioccò un’occhiata annoiata: «Lo so, Daniel. Ma non è questo il punto.»
«E qual’è?» chiese lui divertito.
«E’ che sei uno stronzo!» rispose lei.
Daniel inarcò un sopracciglio guardandola di traverso.
Mazim sogghignò poi aggiunse: «Non per distarvi, ma ieri sera, ho ricevuto una soffiata su un carico di farmci in arrivo da Boston, potremmo andarci a dare un’occhiata, no?.»
«Noi tre?» domandò Edina.
«Noi tre e gli altri. Non dovrebbe essere una cosa complicata, a quanto pare il guidatore è un tipo tranquillo e prima di farsi ammazzare consegnerebbe il carico senza pensarci troppo su.»
«Mi chiedo chi ti venda tutte queste informazioni...»
«Ti chiedo mai chi ti da tutte le informazioni durante le tue meditazioni?»
«Non è la stessa cosa...»
Il ragazzo fece spallucce: «Per me sì!»

Anche il giorno di Natale il porto era gremito di persone.
In lontananza la sagoma di Lady Liberty svettava imponente, guardando fiera chiunque approdasse sulla riva.
Un enorme imbarcazione nera vomitava i superstiti del viaggio dal proprio fianco, che si riversavano in massa sulla banchina: gente di tutte le età e di tutte le estrazioni sociali guardavano intorno spaventati e affascinati, dai loro occhi si percepivano il timore, la speranza e il ricordo di un nuovo passato ed un vecchio futuro.
Le due auto si fermarono poco più lontano della capitaneria, dove poliziotti pattugliavano come mastini troppo affaticati.
Daniel e Edina scesero, l’uno accanto all’altra.
Soffiava un vento freddo che veniva direttamente dal vasto oceano spalancato di fronte a loro, incamminandosi verso la banchina i loro occhi rotearono in tutte le direzioni, come alla ricerca di qualcosa o di qualcuno.
«Quale è la nave con cui arriva?» domandò lei.
«Si trova al molo 8, credo sia già arrivata.»
«Ma chi è davvero questo tuo ospite misterioso?»
Daniel guardando davanti a sè e disse: «Un caro amico.»
«Daniel odio questo tuo modo misterioso di fare, lo sai. Potevo rimanere in casa a farmi un po’ di fatti miei, e invece sono qui con te a patire questo fottuto freddo. Esigo di sapere chi stiamo andando a prendere!» disse lei categorica, piazzandosi di fronte con un dito che si agitava minacioso verso la faccia di lui.
I grossi occhi marroni la fissarono per un attimo, poi sorrisero e le labbra seguirono di lì a poco.
«E va bene.» sospirò. «E’ un ragazzo italiano. Ha dovuto lasciare il paese perchè le guardie papali gli stanno dando la caccia. Noi lo accoglieremo e gli daremo una casa e magari un lavoro...»
Edina sgranò gli occhi: «Ma sei impazzito? Viviamo con il fiato della legge sul collo, ogni nostra mossa è controllata, sanno anche che siamo qui, e tu cosa fai? Ti metti ad accogliere esuli, fuggitivi e ricercati! Ma bravo, complimenti padre Daniel! Proprio un bel momento per mettersi a fare il gioco della carità cristiana!»
E’ sempre più bella quando si arrabbia!” constatò mentalmente.
Nel frattempo la coppia era arrivata alla brulicante folla, mischiandossi con essa. L’odore era quello di gente mista: acque di colonie che si mischiavano a quello di piatti cinesi venduti da un ristorante su un carrettino a due ruote; tabacco di infimo ordine che si confondeva con quello di pesce fresco.
Daniel prese Edina sotto braccio e le diede una debole e furtiva stretta, lei lo guardò e di rimando lui indicò col capo un gruppo di militari che vigilava osservando la gente in fila scesa dalla nave.
Imbracciavano un fucile d’ordinanza con la canna rivolta verso il basso.

«Ehi mussy, di chi è questa auto?». Un uomo in uniforme gli si piantò davanti agitando minaccioso uno sfollagente.
Mazim si spinse la sigaretta appena girata sul lato sinistro della bocca:
«E’ una domanda d’ordinanza o è a titolo informativo?» sorrise.
«E’ una domanda! Puoi rispondere a me o a lui, scegli tu.» indicando l’oggetto nella sua mano.
«L’auto non è mia, io sono solo l’autista.»
«I documenti!» ordinò perentorio l’uomo.
Mazim si frugò nell’ingombrante cappotto cammello, la punta dello sfollagente si appoggiò delicatamente nell’incavo del braccio.
«Con dolcezza, mussy, o dovrò pensare che stai estraendo un’arma.»
“Figlio di una cagna sterile!” continuava a sorridere e con delicatezza estrasse una custodia nera.
«Bene. Ora tiralo fuori!»
Mazim obbedì.
«Maximilan Prenton.» lesse ad alta voce guardando la foto in bianco e nero, rivolse il suo sguardo verso il ragazzo e poi nuovamente alla foto, socchiudendo gli occhi, come se non capisse, come se c’era qualcosa che gli sfuggiva; Mazim nel frattempo gli sorrideva.
«I documenti dell’auto!» ordinò secco.
Con la solita tranquillità, Mazim frugò nell’abitacolo, l’uomo si accostò sbirciando all’interno, e ancora una volta rimase deluso nel trovarci nulla di compromettente o sospetto.
«Ecco a lei agente.» disse Mazim.
L’uomo prese i documenti e cominciò a studiarli, fece un giro della vettura controllando la targa, ordinò a Mazim di aprire il bagagliaio e lui obbedì prontamente.
Con la cosa dell’occhio a pochi metri più indietro, Mazim notò la seconda auto parcheggiata poco più in là, bastò una fugace occhiata e la vettura partì sparendo oltre l’angolo.
«Qui dice che l’auto è di un certo Jeremy Milton…»
«Sissignore!» rispose lui. «E’ il signore per cui lavoro. È un sacerdote…» sgranò gli occhi mentre il sorriso si allargava: «Eccolo!»
L’agente si voltò
Daniel, Edina d un uomo biondo procedevano verso di loro.
«Buongiorno capitano.» salutò cordialmente Daniel.
«A lei.» rispose l’agente toccandosi il berretto e aggiunse in tono stizzito: «Non sono capitano. Lei è …»
«Padre Jeremy Milton, sì sono io. Posso aiutarla?»
L’uomo parve stordito dall’interruzione.
«Bè veramente…» farfugliò.
«Il signor Capitano stava controllando la sua auto, padre.» intervenne Mazim.
«Ah sì è un’ottima automobile, un po’ vecchia forse, lo ammetto, ma a cosa mi servirebbe un ultimo modello?» allargò le braccia bonariamente.
«E’ di mia proprietà ma non ho la patente. Ma questo credo, non costituisce reato, vero capitano?»
«Non sono…»
«Bene. Meno male, sennò che paese libero sarebbe mai questo, se un uomo come me non avesse il diritto di possedere una vettura pur non potendola guidare? D'altronde un ottimo autista come Mazim…»
«…Milian…» fece eco il ragazzo.
«Maximilan, certo. Spero comunque non ci siano problemi. Ho appena finito di celebrare una messa e sono venuto a prendere mio fratello arrivato questa mattina dall’Inghilterra.»
Il biondo inarcò un sopracciglio e Edina prontamente gli diede una gomitata.
«Mi spiace, è un po’ stanco, quindi ci perdonerà se andiamo via, vero? D'altronde se ho capito bene è tutto regolare, no?»
L’agente nel frattempo annuiva o negava a seconda di quello che Daniel diceva e alla fine si limitò a dire:
«No, padre…»
«Benone allora!» esclamò trionfante.
Tolse riprese i documenti riconsegnandoli a Mazim, fece salire tutti nell’auto poi con una calorosa pacca sulla spalla disse: «Mille grazie, figliolo. Buon Natale! Continua pure così che vai benissimo!»
Detto ciò sedette davanti e l’auto partì.

«Non capisco…» continuava a ripetere scrollando il capo.
Di fronte a lui un enorme tazza colma di caffé che stringeva con entrambi le mani.
«Insomma, hai mentito su tutto. Da quando sono arrivato sino ad ora…tutta la tua vita, Daniel è una menzogna!»
Nel locale c’erano solo loro, più una giovane donna dai capelli tagliati corti alla maniera di un maschio.
Se ne stava con la faccia divertita di chi assiste ad una commedia degli equivoci, seduta a gambe incrociate sullo sgabello.
Edina e Mazim bevendo la loro tazza a dei tavolini poco più lontani.
«Caspar devo spiegarti alcune cose che sono propriamente come ti aspettavi…»
«Non sei come mi aspettavo? È meglio che me ne sto zitto, sennò faccio peccato. Coraggio sentiamo…» incrociò le braccia e lo guardò diritto in faccia.
Daniel deglutì sentendosi come un bambino che doveva discolparsi di una marachella evidente.
«Innanzitutto mi avevi parlato di una chiesa. Dov’è? È questo bar? Fa schifo! Senza offesa per la signorina.»
La ragazza fece spallucce.
«Ma io ho davvero una chiesa!» affermò Daniel con forza.
«Davvero? Mostramela!»
«La mia chiesa sono le strade e i vicoli di New York e le sue piazze, i miei altari casse di legno e compensato; il mio gregge tutta la gente che vuole ascoltarmi, senza distinzione alcuna….»
Il biondo aveva inarcato un sopracciglio, poi muto era tornato al suo caffé, scuotendo di nuovo il capo.
«D'altronde…» incalzò Daniel: «è scritto anche nella Bibbia che…»
«Cosa?»
«Che non è necessario avere un tempio per…»
«Dov’è?»
«Dov’è cosa?»
«Dov’è scritta questa cosa, perché proprio io non riesco a ricordarla.»
Daniel aprì la bocca e la richiuse.
«Comunque non faccio niente di male.» aggiunse poi sorridendo in tono di scusa.
«Spacciarti per un certo Jeremy Milton, andare in giro con documenti falsi e un auto rubata, mentire al prossimo…no, certo non è niente di male. tra un po’ verrai a dirmi che hai anche ammazzato, però lo hai fatto a fin di bene!»
Daniel abbassò gli occhi colpevole.
«Tu hai ucciso!» esclamò il ragazzo con gli occhi spalancati. «Non ci posso credere! Sei un sacerdote, Daniel! Ti rendi conto di quello che vuole dire? Hai idea che cosa hai fatto? I Dieci Comandamenti! Non uccidere! Non rubare! Non dire falsa testimonianza!...»
«Si ma…»
«Ma cosa? Mentimi ancora, Daniel e ti picchio come quando eravamo in seminario e questa volta non saranno lividi!» lo minacciò il biondo con un dito.
Calò il silenzio.
Imbarazzante e freddo.
«Caspar…» mormorò Daniel sull’orlo del baratro.
«E piantala di chiamarmi Caspar! Vuoi dirmi che nessuno di loro sa nulla del tuo passato da seminarista?» sorrise sinistramente.
«Bene avrò molte cose da raccontare ai tuoi amici.
Mazim e la giovane donna gli si precipitarono accanto come fulmini, uno con una sigaretta, l’altra con una abbondante fetta di torta alle ciliege.
Daniel sospirò e si allontanò verso il retro del bar, chiudendosi violentemente la porta alle spalle.
Nel piccolo giardino sul retro sedette su una pila di mattoni lasciati lì da chissà quanto tempo.
Si accese una sigaretta.
Quel piccolo pezzo di terra era per lui un posto magico, se non si faceva caso all’odore di muffa e rifiuti che lo circondava.
Osservò con gli occhi le crepe nelle pareti, la loro forma, l’erbe verde e ribella cresciuta tra li interstizi; seguì il perimetro delle pareti: a destra e a sinistra due enormi palazzi torreggiavano minacciosi, due armigeri che vegliavano su di lui.
La cenere della sigaretta continuò a consumarsi, il fumo danzando si sollevava sino a lambirli il viso, facendoli lacrimare gli occhi.
Sbatté le palpebre ed una di esse scivolò silenziosa lungo lo zigomo e avvertì la consueta sensazione di vertigine, come se una sfera fredda lo attraversasse, partendo dalla gola sino allo stomaco e oltre fino al fondo della schiena.
Le pareti persero colore, le crepe divennero più scure, più vive, più profonde.
Dio aiutami…” più un immagine che un pensiero.

E poi altre immagini e suoni: una noce rossa priva di guscio che ruotava incessantemente su se stessa, mandando piccolissime scariche blu elettriche a danzare su di essa e nella sua corsa perdeva minuscoli pezzi con un rumore disgustoso perdendosi nel nulla attorno.
La noce ormai ridotta a poco si fermò avvampandosi di fuochi e grida, mentre due labbra rosse sussurrarono in un raschio:
«Passiflora!»

Un volto dalla pelle scura. Un rossetto rosso. Questo gli apparvero davanti, lo sguardo di Edina era angoscia e muoveva le labbra senza che ne uscissero suoni.
«E…Edina…» mormorò lui, riverso sull’erba.
Gli teneva la testa in grembo ed un mano gli slacciava il clergy.
«Dani stai bene?»
Annuì cercando di sollevarsi sui gomiti, guardò intorno alla ricerca di qualcosa, vide la sigaretta appoggiata sull’orlo dei mattoni che si spegneva silenziosamente.
«Cerchi questo?» lei gli porse il bastone.
Sorrise.
«Dolcezza quanto sono rimasto qui per terra?» la voce roca e la gola secca.
«Sono arrivata che eri già lì, sembrava avessi le convulsioni. Ho avuto paura Daniel, non era come le altre volte, tu eri…eri…» la voce quasi rotta dal pianto.
«Non è niente Edina. Ora sto bene, ho solo bisogno di acqua, o magari di un caffé.» lui abbozzò un sorriso.
«Cosa hai visto?»
«Non ne sono ancora sicuro. Sai cos’è la passiflora?»
«Un fiore. Perché?»
«Nulla.» scosse il capo e la baciò sulla tempia prendendola per mano.
«Rientriamo, ho freddo.»
E insieme varcarono la porta.


1 Comments:

Blogger daniel said...

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9:15 PM  

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