Sunday, February 25, 2007


Ben ritrovati a tutti, come ogni settimana vi propongo un nuovo capitolo...buona lettura!

Di là del Verde Giardino

«…Perché è dal contributo che si costruiscono le basi per una società migliore, basata, sull’efficienza, sul merito, la comprensione, la libertà e soprattutto la giustizia. I tempi che corrono non sono i migliori che abbiamo visto, ma nemmeno i peggiori, io e la mia amministrazione lavoreremo affinché il disordine e l’anarchia e la pseudo democrazia che tanto piace ai nostri avversari possa terminare. Abbiamo visto tutti quali sono le conseguenze di una libertà così abusata come è stata quella che ha causato il maggior numero di danni: un esempio sono le migliaia di persone che come topi sbarcano a frotte sul nostro paese…»

CLICK

«Dio te ne renda merito, Mazim!» esclamò Daniel.
«A me diverte invece.» rispose il ragazzo. «Dai è come ascoltare uno di quei racconti narrati la sera alla radio. Solo che questi sono veri.»
«Io non mi diverto.»
«Edina, tu non ti diverti nemmeno al tuo compleanno!» fece eco lui. «Secondo me stai prendendo sul serio quel travestimento da suora che porti!»
«Allora dimmi, cosa ci trovi di divertente in un sfottuto pazzo che blatera di guerra e ordine? La gente gli crede non perché sia convinta di quello che dice, ma perché ne ha paura. Sa che se qualcuno provasse a contraddirlo, verrebbe incarcerato e deportato nelle miniere a sud o nei campi a nord. La gente muore, sola e triste…e ora dimmi: cosa ti diverte?»
Nessuno parlò.
La camionetta procedeva verso sud, pesante e lenta attraverso strade deserte e piene di neve.
«Cosa dicevi a proposito di oggi?» Mazim alla guida assumeva sempre un aspetto da professionista veterano, con la pipetta d’oppio di lato ed un basco calato sugli occhi.
«A proposito di cosa?»
«Dei tumulti a T.D. Square.»
«Non so di preciso cosa sia successo. Lucky mentre tornava dalla sede della Legione Nera, ha assistito ad una scena paradossale: un gruppo di persone in fila per la dose di penicillina quotidiana, di colpo ha dato di matto: prima hanno preso a spingersi, poi si sono picchiati l’un l’altro…»
«Ed è intervenuta la polizia…» concluse Mazim.
«No!»
«No?»
«La polizia è rimasta a guardare come si massacravano, poi hanno deciso di intervenire.»
«Hanno aspettato che si uccidessero tra di loro?» Edina era incredula, passò a Daniel un fucile a doppia canna corta, poi si sistemò una pistola nella giarrettiera sotto la tonaca nera.
Lui annuì.
«Ma perché?»
«E che ne so, non sono un veggente!»
«Ci sarà stato un motivo che ha dato il via alla cosa…forse il fatto stesso di spingersi…la gente è nervosa e basta anche una piccola stronzata per arrivare a fatti del genere…»
«Non lo so, Edina. Lucky ha visto tutta la scena e ha detto che è stato un attimo, prima si sono spinti, poi hanno cominciato a darsele, quello che non riesco a capire è il verso che facevano…»
«Versi?» chiese lei.
«Urla di dolore immagino…» suggerì Mazim.
«No. Lucky me li ha descritti come il verso di un gatto con una lisca di pesce in gola…»
«Eh?» Mazim sembrava divertito. Diede la pipetta a Daniel che tirò un paio di boccate e poi la passò ad Edina.
Il sole pallido e debole cominciava a tramontare sulla città, dietro una seconda camionetta li seguiva a pochi metri di distanza entrambe avevano il simbolo della Pia Società Cristiana, comprate ad un asta del mercato nero qualche anno fa.
Superarono un ponte , poche auto che si affrettavano ad abbandonare la strada, dietro di loro la grande città al tramonto appariva bellissima.
«La scena non deve essere stata bella da guardare, è possibile che Lucky si sia immaginato quel verso, o magari ha sentito qualcuno sgozzato…» suggerì Edina.
«Non lo sapremo mai, Edina. Comunque, dovremmo arrivare tra un’oretta. Il furgone è partito da Uprise alle tredici precise, se continuiamo così alle diciassette dovremmo incrociarlo sulla statale all’altezza della stazione Gialla.!» affermò con calma e decisione, riprendendo la pipa dalle mani di Daniel.
«Che cazzo sei, un calcolatore industriale?»
Mazim li guardò e scosse il capo senza dire nulla.

Come una delle altre stazioni, quella Gialla spuntava come un dente marcio nel bel mezzo del nulla. Il suo colore ocra e i contorni molli la faceva assomigliare ad una grossa pepita d’oro.
All’interno della parete ad alto voltaggio che la circondava, c’erano altri tre furgoni.
Le pompe del gasolio erano a guardia, immobili e silenziose.
Parcheggiarono un poco più distante con la parte frontale delle vetture verso l’uscita, i membri dell’altra camionetta, anche loro con abiti sacerdotali, rimasero dentro.
Due miliziani armati li seguirono con lo sguardo fino all’entrata.
«Non vi sentite osservati?» chiese Mazim sarcastico.
«Falla finita!» sibilò Edina a denti stretti.
«Silenzio!» fece eco Daniel.
All’interno un grammofono elettrico mandava Hanged Charleston, alla luce di lampade dalla forma sferica. Un bancone a staffa di cavallo occupava buona parte della stanza e dietro un uomo dalla calotta cranica di acciaio che li osservò incredulo, cosi come le altre persone sedute.
Edina e Mazim andarono a sedersi ad un tavolo, Daniel si avvicinò all’uomo, appoggiandosi al bastone e fingendo di essere zoppo.
«Buonasera figliolo!» esordì lui con un sorriso fresco e sincero.
L’uomo dietro il bancone grugnì un saluto, ma non si scompose, due grossi favoriti biondicci gli scendevano ai lati del capo, andandosi a ricongiungersi ai baffi e alla barba.
«Siamo in tre. Può portarci tre panini e tre caffé, e tre li prepara da portare via? Grazie!»
«Non si serve ai tavoli!» rispose l’uomo serio.
Daniel non perse l’allegria: «Oh, allora in questi casi, potrei avere tre panini e tre caffé e tre da portare via? Grazie!» ripeté.
Il barista lo servì quasi controvoglia e lui tornò al tavolo con un vassoio.
«Credo che la preghiera oggi debba dirla sorella Edina, padre!» disse Mazim prendendo un panino.
«Che stronzo!» esclamò Edina sottovoce.
«No, la dirò io!» rispose Daniel giungendo le mani.
Gli altri due lo seguirono in silenzio.
«Mazim, l’ovest è da quella parte!» disse lei ad alta voce.
Questa volta anche Daniel scoppiò a ridere.
«Ok ok, basta così, touchét Edina!» disse Mazim ritornando serio.

Alle diciassette e dieci minuti e venti secondi, il rumore della cancellata e di una vettura, li fece sobbalzare, distrattamente Mazim guardò fuori da una delle finestre con le sbarre e nella luce dei lampioni vide un furgone verde fermarsi accanto ad uno dei loro.
Ne scese un uomo robusto che aggiustandosi le brache, chiuse la portiera a chiave e si diresse verso la porta della stazione di servizio.
«Credo sia meglio andare ora.» disse lui alzandosi. «Finite con calma, vado a mettere il carburante e dare un’occhiata alle gomme.» ed uscì.

Fece tutto con estrema calma e precisione, osservando più volte, senza farsi notare dai miliziani, il veicolo appena arrivato. “Il motore è nel telaio davanti, pneumatici a camera d’aria…il bastardo lo ha anche corazzato!” osservò, ma c’era troppa poca luce e non riuscì a vedere oltre. La scena gli ricordò alla mente la prima volta che aveva piazzato una bomba sotto un furgone della polizia, circa sei anni prima, allora la rabbia e l’immortalità erano due prerogative che lo accompagnavano e tutto appariva più facile, anche morire.

«Sembra ben piazzato!» esclamò uno dei finti preti sottovoce.
«Così sembra…» rispose secco Mazim.
«Cosa ne dici Mazim? Lo buttiamo fuori strada o gli spariamo alle gomme?» rimbeccò un altro come se dovesse salire su una giostra.
«Non dico niente.» si limitò a ribattere. “Anche perché sei troppo idiota per capire di dover stare zitto!” aggiunse poi.
«Mettete in moto, partiremo a breve!»
Ad uscire dalla stazione per primo fu l’uomo del furgone.
Si sistemò un cappello con visiera sulla testa e indosso un paio di guanti e accendendosi una sigaretta si incamminò lentamente verso la vettura.
Poco dopo uscirono anche Edina e Daniel, lei stringeva sotto braccio lui, che fingeva ancora di essere storpio e andava appoggiandosi al suo bastone.
Mazim li spalancò la portiera e fece salire prima lei, poi aiutò Daniel a sedersi: «Non ti sembra di esagerare ora? Non pesi due chili!» gli fece notare lui tra i denti.
«Zitto o se ne accorgeranno…» gli sorrise Daniel.

La cancellata finalmente si aprì, da sola. I miliziani attesero che tutti e tre i furgoni fossero usciti per abbassare le armi, poi la richiusero e tornarono a girare lungo il perimetro interno della stazione.
Attesero che i fari delle torrette fossero ben distanti per sorpassare il furgone con i medicinali, i fari passando illuminarono per un attimo la sagoma dell’uomo che trangugiava qualcosa, poi andarono oltre. Gli sguardi di ognuno di loro più simili a quelli di un rapace.
Nell’abitacolo freddo, regnava il silenzio.
Mazim accese la radio, armeggiò con la manopola alla ricerca di una stazione, il fruscio crepitante delle onde assunse il suono di un treno che seguiva una corsa lenta e costante…

-…Messaggio autoregistrato numero 1217. Parade, di Erik Satie…-

Una musica lenta e poderosa, che aveva dell’anacronistico, cominciò ad espandersi.
«Mandano ancora i messaggi autoregistrati?» chiese Daniel.
«Non li hanno mai interrotti.» puntualizzò Mazim.
«Ma sono uno spreco, quelle postazioni potrebbero essere utilizzate per altri scopi…»
«Daniel ti sembra che questa sia l’epoca della parsimonia?»


I due furgoni procedettero per altri dieci chilometri, poi si fermarono sul ciglio della strada, in attesa. Intorno il vento freddo soffiava in un lamento angosciante e continuo, Daniel e Mazim scesero dalla vettura per sgranchirsi le gambe, Edina rimase seduta sul sedile con le mani che giocavano nervosamente tra di loro.
«Vuoi?» Mazim passò una fiaschetta di metallo a Daniel, che ne bevve un lungo sorso, asciugandosi poi col dorso della mano.
«Cos’è?» gli sembrò che qualcuno gli avesse fatto esplodere un petardo alle erbe dentro la bocca, il sapore era buono, ma era forte
«E’ un liquore di mia invenzione, ma non sperare che venga a dirti cosa c’è dentro…» fece l’occhiolino sornione. «Allora come vogliamo procedere?» domandò bevendo di nuovo dalla piccola fiaschetta.
«Così come si era detto!» rispose Daniel controllando le canne del fucile.
«Secondo me è pericoloso lasciarla in mezzo alla strada…»
«Mazim ho provato a spiegarglielo ma lei sostiene che una suora che sbraccia di notte nel mezzo della strada abbastanza convincente, e sarà sufficiente per fermare la camionetta.»
«Il vecchio trucco del soccorso…» scosse il capo in un sorriso amaro: «L’ho visto riuscire troppe volte per potermi ancora fidare!»
«Avevi un’idea migliore genio del crimine? Non avevamo molto tempo per metterci a discutere un piano decente da fare.»

I fari della camionetta spuntarono molto tempo dopo facendo capolino dall’orizzonte.
Nel vederli ognuno prese la sua postazione, con le armi in pugno e il cuore in gola, sentirono il suono del motore che si faceva sempre più vicino.
Mazim, muto e immobile, piegato accanto alla ruota anteriore, chiuse gli occhi cercando di respirare tranquillamente, l’oppio aveva finito il suo effetto da un’ora, ma il liquore gli scorreva dentro dandoli calore e sicurezza; vide i campi attorno bui e deserti, dall’oscurità dentro cui erano immersi, immaginò sbucasse fuori qualcosa di terribile che lo aggrediva.
Cominciò a sudare.
Il rumore del furgone era vicino, da dove si trovava lui era impossibile vedere qualunque cosa che non fosse l’immensa vastità attorno, “E’ con le orecchie che devo vedere…”
«…Dove scorrono fiumi e frutti perenni, e la sua ombra…» recitò sottovoce tenendo stretto il calcio della Luger: «…E la sua ombra…e la sua ombra…com’era, cazzo!»
«Ferma! Per carità si fermi!» la voce di Edina che implorava lo scosse dalle preghiere, imprecò contro sé stesso e contro la cocciutaggine di lei. Alzò un attimo la testa, ma non riusciva a vedere nulla. Daniel era dentro l’abitacolo che si fingeva ferito, con un po’ di sciroppo rosso versato sulla tempia. Degli altri nemmeno l’ombra.
«Un colpo di sonno, credo. Oh buon Dio, mi aiuti, è immobile, non si muove più!» la voce sembrava sull’orlo del pianto.
Però ci sa davvero fare con le interpretazioni…
Sentì aprirsi una portiera.
E qualcuno borbottare qualcosa.
Si abbassò.
Da sotto il furgone poteva vedere le gambe di Edina nella tonaca nera ed un altro paio di gambe, quelle del guidatore.
Aprì lentamente uno spiraglio nello sportello dove era appoggiato e attese.
«E’ accaduto tutto in un attimo!» continuò lei nello stesso tono. «Ha abbassato la testa ed è uscito fuori strada. Sono riuscita a frenare prima che ci ribaltassimo…»
Erano vicini.
Un attimo. Solo uno, poi sarebbe sbucato anche lui.
Aveva caldo. Gocce minute di sudore gli imperlavano la tempia sinistra. Si tolse il basco, senza fare rumore e si passò una mano sulla testa rasata, il vento freddo lo rinsavì e gli fece spalancare gli occhi.
La voce di Edina continuava a parlare, ma l’uomo rimaneva in silenzio. Non vedere i loro gesti, le loro facce, lo mandava in bestia, la pazienza veniva lacerata dall’adrenalina che, corrosiva, gli elettrizzava il corpo.
Nello spiraglio buio distinse il braccio di Daniel stringere lentamente il calcio del fucile, fu per lui un segnale.
Spalancò la portiera caricando la pistola e si raddrizzò, puntando l’arma verso l’uomo.
«Salve!» salutò sorridendo e compiaciuto.
L’uomo non si mosse, ma il suo sguardo lasciò trasparire sorpresa e incomprensione.
Daniel aprì gli occhi e con la mano puntò le canne del fucile sotto il mento del tizio.
Edina smise di parlare e fece due passi indietro.
«Allora, lardoso figlio di una cagna sifilitica! ora senza fare nulla di avventato, ci darai le chiavi del furgone, noi lo puliremo e poi potrai tornare al tuo viaggio, intesi?»
L’uomo non si muoveva.
«Hai capito cosa ti ho detto?» ripeté Mazim.
Ma il tipo era immobile e lo guardava fisso negli occhi che nel frattempo avevano perso espressione.
Nel frattempo gli altri erano sbucati dal secondo furgone e puntavano le loro armi, muovendosi cautamente.
“Era ora stronzi dorati!” esclamò lui vedendoli.
«Figliolo.» cominciò Daniel. «Ascolta quello che ti dice, nessuno vuole farti del male, vogliamo solo…»
Il corpo dell’uomo cominciò a fremere, come in preda a delle scosse, un filo di bava gli colava lungo l’angolo della bocca e lo sguardo fisso su Mazim, che improvvisamente si sentì colpevole.
«Daniel…?» chiamò lui come a chiedere cosa fare.
Con un movimento deciso e senza prestarci attenzione, l’uomo strappò il fucile dalle mani di Daniel, rigido si muoveva a scatti veloce come una furia, aveva cominciato a gemere in maniera spaventosa, un verso strano…
“Un gatto con una lisca di pesce in gola…” pensò Mazim, poi sparò.
Nell’aria risuonarono due spari quasi all’unisono, poi come un’orchestra seguirono gli altri.

Quando il silenzio e la calma furono ritornati, l’uomo del furgone era accasciato contro la portiera, tutta la sua materia cerebrale sparsa sul finestrino come un dipinto d’avanguardia, la parte superiore del cranio non esisteva più e il corpo era sparso da fori rossi.
Accorsero tutti verso Daniel, che si toglieva pezzi di cervello dalla faccia:
«Un tipo tranquillo vero Mazim?» chiese rimettendosi in piedi.
Mazim non rispose.
Daniel si precipitò sul sedile accanto, sporgendosi fuori: Mazim era per terra e si teneva lo stomaco colorato di rosso, guardava sorridendo a denti stretti, con il sangue che gli sgorgava sul mento ed una lacrima, forse di paura, sotto gli occhi.
«Ti dicevo che non c’era da fidarsi del trucco del soccorso…» gli disse a stento.
Poi chiuse gli occhi e giacque immobile sulla neve.


1 Comments:

Anonymous Anonymous said...

majalaaa massicciooooooooooo

io cmq e so di lannisporte!
a capito? Oh duroo!

A approdo del re ci vengo a fa le vacanze!

massiccioooouuu

Vegard di Vegard
Sovrano dei Militari Bruciati

6:29 AM  

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